Tim Buckley: Starsailor

dome punta di palata 1 014“Un vero viaggio di scoperta

non è visitare nuovi luoghi

ma avere nuovi occhi”

Marcel Proust

E nuovi orecchi…

Tim Buckley-Come Here Woman

tim buckley starsailor cover 7Il buon ranofornace aggiusta il tiro e si accinge a sondare uno degli spazi più incredibilmente profondi e indicibilmente ricchi della musica del secondo ‘900. Oltre a doversi equipaggiare adeguatamente, il richiamo è tale che la torcia della sua ragione  cerca di mettere a fuoco il senso di un’impresa musicale così ardita quanto formalmente controllata, di un capolavoro assoluto oltre la storia, che si libera per sua natura ad ogni definizione. Cari amici,  questa volta parliamo di “Starsailor” di Tim Buckley del 197o, l’opera magna di psichedelia cantautorale, il terzo e definitivo viaggio “extra terrestre” (senza considerare le tappe intermedie e successive) del più grande “viaggiatore delle stelle” (per sua stessa definizione) che la musica americana abbia mai potuto vantare.  Siamo ammaliati da tale “visione sonora” di cui ci occuperemo, tentando di far luce per quanto possibile, dato la complessità e l’ostica lettura. Dotato di un talento a dir poco immenso, questo menestrello surreale, questo esegeta delle corde vocali, se pur riconosciuto all’unanimità dagli esperti e  musicofili planetari, come uno dei massimi interpreti del lirismo canoro, rimane ancora oggi a distanza di 50 anni, poco considerato o pressoché sconosciuto fra le file di coloro che si ritengono orgogliosamente conoscitori di musica rock e affini. Ma come è possibile che ciò avvenga? Chi ritiene di amare veramente la musica, oltre ad immergersi  nella contemporaneità e dintorni, dovrebbe anche guardarsi indietro, per dare merito a certe scoperte e riacciuffare i fili di certa evoluzione.

Line-Up: Tim Buckley (voce, chitarra acustica), John Balkin (basso), Lee Undewood (chitarra elettrica, tastiere), Bunk Gardner (flauto, sax tenore, tromba), Maury Baker (batteria, timpani)

Tim Buckley-Monterey

Tim Buckley fu per il canto ciò che Hendrix fu per la chitarra e in “Starsailor” ha dimostrato al mondo di essere “il più grande cantante del pianeta”.

tbFu il primo uomo a varcare i limiti del possibile espressivo, il suo viaggio interiore iniziato timidamente nel lontano 1966 col suo album eponimo, acquistò peso attraverso le esperienze di “Goodbye & Hello” ed “Happy Sad” che portarono al monumentale trittico psichedelico, dall’intimistico “Blue Afternoon”,  al solipsistico “Lorca”, fino all’approdo trasfigurato di “Starsailor”. Il suo vertice musicale, il più formalmente impiantato e complesso. Tim Buckley fu la trasposizione di uno spirito inquieto nelle fattezze di un giovane “angelo” dalla dorata ugola. Le sue corde vocali vibrarono venti emozionali e sconosciuti dell’animo umano, sondando l’impossibile negli angoli reconditi e lontani dell’ignoto espressivo. Portò coraggiosamente la lezione tecnica del suo maestro ispiratore Fred Neil alla massima conseguenza,  attraverso l’interpretazione e l’estensione vocale,  fino a definire all’interno della sua ricerca, uno dei pochi virtuali “trattati di vocalità”, assieme a quello di Shawn Phillips e pochi altri nella storia della musica rock.

timbuckleyTim Buckley era dotato di una purezza artistica unica nel suo genere, fu il più grande songwriter sperimentale della storia all’interno di una concezione classica, uno dei primi a  usare la voce umana come  strumento musicale, capace di emettere timbriche e suoni a sé stanti, al di là della funzione melodica.  Ricordiamo a riguardo, la “ricerca del limite” di Demetrio Stratos o le “follie rumoristiche” di Mike Patton, propesi ad una idea simile, ma con approccio fuori dagli schemi musicali. Lo stile di Tim Buckley è il folk senza fare della ballata un idioma, con l’ausilio  della psichedelia come condizione sensibile, passando alle manifestazioni free come più idonee alla creatività, fino all’adozione del jazz, come supporto “ligneo” alla sua “zattera cosmica”, con questa varcò i confini delle “Colonne d’Ercole” diretto verso gli “spazi interstellari”.

Tim Buckley-Song To The Siren

tb3“Starsailor” è un opera visionaria, basata sul principio della sospensione, frutto di un ardimento puro. La maturazione del lirismo esasperato di “Lorca”, con l’esperienze policrome di generi vari, che si mescolano fruttuosamente  con la poetica autobiografica dei testi, in un drammatico e seducente vagheggiamento lisergico. Un punto di non ritorno, dove la surrealtà sentimentale del canto, l’evoluzione compositiva dell’acid-folk, si dissolvono nel jazz  e sconfinano nelle esperienze dell’avanguardia spigolosa e dissonante beefheartiana. L’opera rappresenta la vetta della sua ricerca canora, la sua discesa o ascesa agli inferi, sul piano psicologico un atto di sincerità a dir poco disarmante. Il documento d’una crisi spirituale, o la condanna di un esperimento, (la droga), o una cifra per risolvere l’enigma d’una personalità, d’una vita.

tim_buckley_latter_day_saintIl viaggio inizia con “Come Here Woman” ed è subito capolavoro di progressive tragic-jazz-free form in un clima che si annuncia subito inquietante, chitarra elettrica da “astronave aliena”, basso petulante e batteria irrompente, fanno da complici all’incipit narrante di Buckley, da cui prende forma lo spazio grave in cui volteggiano le angosce esistenziali del protagonista cantore. Lo sviluppo del pezzo è a dir poco esaltante, dopo circa un minuto e mezzo, la frase “… come here woman…” da via al delirio liberatorio. Il furore vocale è dilagante, gli acuti prolungati si pongono in rapportano dissonante ad un’articolazione jazzistica, dove la lezione di Beefheart batte il tempo verso un finale orchestrato dalle identiche premesse. “I Woke Up” si estende senza ritmica, gli strumenti fanno da cornice sensazionale alla voce poetica di Buckley, l’onomatopeico canto delle balene, prodotto dalla chitarra elettrica, l’inserimento di una tromba con sordina e cimbali, conferisce all’organico ulteriore magia, questo è un pezzo che rimane costantemente sospeso in un “vuoto scenografico”, fatto di citazioni colte che vanno dalla musica contemporanea, ad “Ascension” di John Coltrane alla cultura chicana limitrofa a Los Angeles, alle assonanze beefheartiane. “Monterey”, è un’altro grande capolavoro d’effusione lisergica, su un riff metallico e minimale di chitarra elettrica e ritmica jazzistica, il delirio acutizzato e spavaldo di Buckley raggiunge picchi animal/scimmieschi, dove notiamo qui (come in altri pezzi) senza ombra di dubbio, la lezione di vocalismi fondamentali appresa da Demetrio Stratos per “Arbeit Macht Frei” degli Area nel 1973. “Moulin Rouge” è la stazione di riposo  più tipicamente “terrestre”, una canzoncina piacevolissima cantata in francese in pieno stile chanson retrò che prepara al capolavoro di canto e poetica “Song To The Siren”, scritta da Larry Beckett e coverizzata dai This Mortal Coil e da John Frusciante, rappresenta uno dei punti più alti del cantautorato americano di tutti i tempi. Metafora della passione verso la figura femminile  nelle fattezze della sirena che contrariamente non ascolta l’implorazione, tormento e delizia canora accompagnati dalla sola chitarra elettrica al phaser con inserimenti di cori spettrali.

Tim Buckley-Starsailor

tim buckley 5“Jungle Fire” divisa in due parti, si pone inizialmente sulla frequenza d’onda dell’incertezza e della suspance recitativa con visitazioni  extra tonali da musica d’avanguardia, la seconda parte è avviata a impennarsi sulle peripezie dell’ugola più straordinaria della storia della psichedelia di tutti i tempi, ma è solo un preambolo all’apoteosi allucinatoria di “Starsailor”, spudorato capolavoro di monologante delirio interiore. il brano “Starsailor” è una confessione liberatoria, una regressione ipnotica verso l’inconscio, la sua metafora sonora, luogo degli impulsi e delle logiche irrazionali che prendono forma di “amebe umorali”. “The Healing Festival” è un’ Odissea spaziale che parte spedita oltre i confini della realtà,  rinforzata in sottofondo da cori orgiastici e da un sax da dilagazione free. Aprono “Down By The Borderline”, le note di tromba Mariachi, per un’entrata di chitarra elettrica soul-country-jazz che riporta in terra i suoni, ma non il nostro Tim, che dà ancora l’ultimo sfoggio della sua immensa bravura canora, un saggio di onomatopee rumoristiche al limite delle ottave umane. La voce  e il canto di Tim Buckley furono quello che per la pittura fu l’astrattismo novecentesco, uno “spazio virtuale” da reinventare.

Infine diciamo pure che “Starsailor” sta alla musica come “Una Stagione all’Inferno” sta alla poesia, è opera maledettamente sublime, il testamento artistico del grande canzoniere americano, consegnato ai posteri con la sua “scottante” ma illuminante eredità. Tim Buckley pubblicherà ancora tre album, il punto più basso della sua stratosferica avventura artistica, morirà di overdose d’eroina e alcool, all’età di 28 anni nel 1975, consegnandosi definitivamente alla storia e lui per noi, al regno delle stelle!

rano 2valutaz. ***** (con lode) Pierdomenico Scardovi


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