Lo stagno di ranofornace: “Canto d’amore in plenilunio”

 

“Ama l’arte!
La coerenza è madre della sterilità.
Ama… ama oltre i confini delle idee!”
(ranofornace)
ranina picciina

 

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi-Trismegisto Road– 1978 (file originale iniz. sec. 7)

Immaginare la profondità del tempo è come sfiorare idealmente con un dito il punto di una retta circolare.
Un piccolo impalpabile punto che si allontana o si avvicina.
Non sappiamo di ciò, di quanta strada è stata percorsa; di quanti altri punti è composta e se vogliamo calarci nella voragine di quell’ effimero segno, occorre camminare sui ciottoli qua e là disseminati.
Scopriremmo allora, di quanta fattualità è ricolma la strada.
 

 Ma il passo qualunque esso sia, ha ombre di dubbi ed esce dal selciato per addentrarsi sui sentieri di un bosco incantato o nel deserto di un male incurabile quale è il nostro bisogno di vivere.

albore 1(carta sindonica) “Stigma I” 2015

L’incipit ha nel suo progetto ideativo buone premesse teoriche e lo sterrato in questione apre inimmaginabili orizzonti. Le sue traiettorie in questo caso ridotte a schema reticolare, come la pianta di una città o a lisca di pesce, un asse centrale con le sue diramazioni, erompono nelle stanze sventrate dei nostri sogni. Quelle stanze aprono sui cortili, ai viaggi, alle parole dette e sentite, oppure alla vista di una “scena fatale” e altro ancora… forgiando nell’animo il sigillo di un inesplicabile segreto. Non ci si aspetta che prima o poi si possa aprire un varco nel buio.

Le persone, del loro carattere conoscono principalmente le reazioni alle varie sollecitazioni, il modo di rispondere emotivamente ai fatti, alle infinite situazioni e deduzioni.  Quando queste si verificano, non hanno un ordine logico predefinito ma l’ordine diventa sistematico all’esame della sensibilità, innescando il processo di proliferazione dei pensieri e delle immagini. La loro percezione incide in modo così rilevante e risolutivo su un terreno poco sondabile qual è l’inconscio che a sua volta reagisce. Si tratta di un’elaborazione del pensiero che si imprime nella parete emozionale e sentimentale dell’interiorità, costruendo mattone su mattone, il castello se-movente e  in-consapevole della nostra esperienza come lo schema del “gioco del quindici” con la sequenza numerica posta in ordine sparso.

La memoria, stimolata da agenti esterni, agisce come una  pialla, leviga i trucioli più morbidi di una forma buia e mutante che si condensano in immagini sostenibili all’attenzione della coscienza; per tutto ciò, quest’ultima è in grado di verificare e distinguere l’immaginazione dall’effettuale. I residui benché possano apparire i soli possibili, conservano il dna necessario per identificare le parti nascoste e non sono altro che il punto di partenza del percorso a cui fare a capo. Raccogliere i frammenti disseminati qua e là sul fondo oscuro e fangoso dell’inconscio partendo da quelli in vista, è il lavoro più faticoso, più meticoloso; richiede costanza e senso di abnegazione. Come dire che questi frammenti contengono le informazioni e la mappatura per trovare quelli reconditi e ricostruire la trama della vicenda che ha segnato la vita; capirla e accettarla, per volgerla di conseguenza al servizio dei desideri presenti e futuri, se questi almeno una volta sono passati al vaglio di un’esperienza precedente. Un’occasione comunque da non sciupare. La ricerca artistica e l’analisi dell’atto creativo mi hanno portato tra le altre cose a queste considerazioni.

 

Canto d’amore in plenilunio

“Oh fratello…
fai prospera la vita!
L’ebrezza della vita al seme
nasce sulla terra arida.

La sua edera dissecata al sole
rampicherà sulle nostre gole
a soffocare i pianti
in cerca d’acqua.

L’acqua dei fiumi rossi
scesa per noi dai nostri avi
ora affoga il grido del loro martirio
nel mare dei sogni infranti!

Di quella stanza dai corridoi
han visto gli occhi
spalancate le porte.
E nel frattempo tutti erano andati.”

In sogno apparve come l’ultimo dei canti
sebbene immerso nella preghiera…

“Plana sulla navata del Sacro Cuore
l’aquila di mare dal capo bianco.
Il suo rombo silenzioso piomba sull’altare
che nell’artiglio curvo ha in preda
un sodo occhio strappato.

Giunto dinanzi alla dora pisside
Il becco adunco lascia cadere 
il mesto globo nell’alveo gemmato.
Della sua regale imponenza l’ala batte
sullo sguardo sanguinante che ha visto Dio.”

E nel sogno la scevra invocazione
a richiamare alla croce.

“Genuflettiti dunque, genuflettiti
alla vista delle carni sacre!”
Ora si falbe e di cuoio
nel lavacro del tuo cuore
come spilli nel buio hanno voce.

A transustanziare il verbo…
e nel frattempo era il silenzio.

“Fratello non piangere!
Ora è tempo di andare…
guardare dall’alto della scogliera
il sopraggiungere della tempesta.”

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi 1979

 

nota

La memoria incalza. Nel lontano 1979 l’aquila di mare mi apparve in sogno ed è inclusa nella poesia intitolata “Canto d’amore in plenilunio”, un’immagine questa, che ricorre  saltuariamente nei miei pensieri più che altro come un fatto “surreale” al quale non ho cercato alcuna spiegazione logica. La poesia di costruzione insolita è scaturita dall’apporto di due distinti momenti; uno di veglia e uno di sogno e per questo si serve di differenti metriche non tradizionali. Presenta una lirica composta da strofe da  quattro e cinque versi liberi, intercalati da coppie di versi intermedi (di legame). Le linee decorative si incurvano, creano piccoli arzigogoli e lo stile risuona di obsolescente retorica. Il ritmo è sostenuto e regolare con adagi e pause moderate, L’enfasi “barocca” rimane contenuta e si rapporta a sentimenti e immagini “decadenti”.

Amore e presagio.

Quel senso di frammentazione già citato in altra occasione, si rifà alle dottrine irrazionalistiche ed espressionistiche novecentesche; è un po’ il leitmotive di fondo di tante mie poesie. La forma,  più che essere un mosaico di ritmi e di strutture lessicali in questo caso rimane compatta pur tenendo uniti con una certa fatica i frammenti narrativi, nell’interesse di una musicalità passionale e classicheggiante. Risulta però evidente, il rapporto di complicità argomentativa che vige fra la lirica del canto in veglia e la lirica descrittiva del sogno. La visuale fluttua scambievolmente da una parte all’altra del testo per una comunanza di alcuni frammenti sintagmatici a stabilire fra loro associazioni di rapporti metaforici e metonimici idonei al sentimento di fondo. In ogni caso, tali frammenti rimangono distanti spazialmente e temporalmente l’uno dall’altro anche nel loro significato.

Ma a cosa si riferisce? A qualcosa di grave sicuramente, anche se gli artisti “vedono cose che non esistono”. Le forme e i livelli di lettura sono molteplici. Che ne potevo sapere nel 1979 di questo sogno? Ricordo i fatti tragici accaduti in quegli anni e di aver appreso con molto interesse i racconti della grande guerra dai nostri nonni. “Ora è tempo di andare…” scrissi. Ora… forse esisterebbero risposte o insinuazioni (dagli archetipi junghiani alla simbologia individuale freudiana). Oppure che l’avanzamento del pensiero occidentale, dei suoi interessi, maturato anche nel sacrificio dei suoi martiri e imposto come prototipo di dignità dei valori del mondo, è in grado di provocare una reazione e una severa minaccia agli equilibri di tolleranza planetaria. Ma quel sogno per Dio!…  quel sogno rimbomba ancora nella mia testa come “un tuono nel sole abbagliante d’agosto”. Io, che non sono nuovo a casi di veggenza.

“Trismegisto Road” (1978) è un brano strumentale acustico, una sorta di “trillo del diavolo“, un “volo del calabrone” folle e avvincente. La gragnola di note come una sequenza di punti, costruisce una linea percorsa a velocità vertiginosa, per poi rallentare e sfaldarsi; segna una via…, il fiume in piena di una road dello spirito. E’ come volerli evidenziare a tutti costi, ricordare che esistono senza sottintenderli, nell’assenza di un tempo dilatato. Quindi, note come punti, così numerosi in così poco spazio di tempo, corrono il rischio di confondersi. Il titolo è stato dato in onore di Ermete Trismegisto, alla filosofia ermetica e all’ermetismo mistico poetico; perché in quelle profondità simboliche si annidano semi intraducibili di ineffabile e fondamentale sapienza, di cui la musica è protagonista e maestra. Unica esecuzione, improvvisata da Pierdomenico Scardovi (chitarra acustica).

“Stigma I” della serie “carta sindonica” – (2015). L’immagine aniconica è ottenuta per pressione dei miei arti intrisi di materiale combusto; ribadisce il concetto che nell’arte concettuale “Il procedimento in arte è l’arte.” (ranofornace 1974). La sua fruizione invece, rimanda ad una virtualità del visibile ed ogni allusione all’immagine (con cui gioca) è puramente casuale.

Dopo si tanta inquietudine voglio concludere serenamente con un’opera sognante e una poesia d’amore.

“Unzione” – della serie Parchment (2015). Opera aniconica che sfrutta la condizione luminosa come parte integrante. E’ stata inserita in questo contesto per la sua specifica predisposizione al tema lunare. La frase introduttiva (“e trovò un piccolo spiraglio…”) non è necessariamente vincolata al titolo; invita in questo caso a porsi su un livello d’astrazione inerente al tema svolto.

unzione lunare 1“e trovò un piccolo spiraglio…”  (Parchment) – Unzione – 2015

Poesia alla Luna

Non vi è giorno…
ora…
minuto…
secondo…
che io non possa amare
di te qualcosa.
Io voglio rubare di te
il chiarore della notte
ed ogni cosa
divorare.

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi 1986

sasso nello stagno

 

 

 

 

“Esistono vari modi per sondare l’ignoto… e l’arte è uno di questi. Senza dubbio il più innocuo, il più proficuo e il più affascinante. L’arte guarda dentro il mondo e le dinamiche che si specchiano nella coscienza individuale. Il mondo e l’uomo sono il suo paziente.” (ranofornace 1974)

Foto in evidenza – “Luna” di Federica Scardovi

Grazie dell’attenzione.rano 2

Pierdomenico Scardovi

(nota di belligea news: I’articolo artistico è stato redatto dall’autore due mesi prima della sua odierna pubblicazione.)


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