Jimi Hendrix Experience – Electric Ladyland

dome punta di palata 1 014Jimi non è morto! Dio lo ha chiamato, solo per farsi dare qualche lezione di chitarra

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Jimi Hendrix – All Along The Watch Tower

tjhe-electric-ladylandQuesto mio epitaffio se fosse inciso sulla stele di Jimi Hendrix al “Greenwood Memorial Park Funeral Home” di Renton, darebbe l’idea dell’esclusività, riconosciuta al più grande genio della chitarra rock che sia mai apparso sulla faccia della terra.

La terra in questione è quella di “Electric Ladyland”, abitata oltre che dal “Gran Maestro”, dagli inglesi Mitch Mitchell alla batteria e Noel Redding al basso, forse l’album più bello di tutta la storia della musica rock del ‘900 e provate voi (specie i rockettari) a propormene un altro, uno solo, che possa superare la caratura di questo diadema, primo candidato ad entrare di diritto in una sonda spaziale, come paradigma di “rock terrestre” per un ipotetico viaggio interplanetario senza ritorno. Una tra le prime dieci meraviglie dell’ingegno artistico umano. Scusate l’enfasi, (e questa è l’occasione per ribadirlo) ma se c’è stato qualcuno a cui gli si può attribuire l’appellativo di “Divino” del rock, sicuramente nessun altro più di Jimi Hendrix, l’angelo nero di Seattle ne ha i requisiti. Oltre ad aver composto un testo base della psichedelica anglo/statunitense  come “Are You Experience”;  “Electric Ladyland” del 1968, è il capolavoro, l’apice  della sua ricerca artistica, conclusasi purtroppo prematuramente nel 1970.

jimhendrix-LEDYLavoro molto complesso e difficile da interpretare, punto di congiunzione di molteplici esperienze musicali che si compenetrano magistralmente in un coagulo hard-blues dal gradiente acido potentissimo. Psichedelia quindi, di quella più ricercata e istintiva al tempo stesso, scaturita dalle visioni lisergiche magicamente organizzate dal più rivoluzionario e straordinario chitarrista della storia. Non credo che si possa parlare di album seminale, ma sicuramente influente, Hendrix aveva solo 25 anni (1967) quando diede vita negli Olympic Studios di Londra alle 16 fantasiose tracce del doppio lp, frutto di registrazioni effettistiche all’avanguardia,  nonostante contenesse tre tracce non firmate da lui. Ma come ben si sa, ogni volta che passava sulla tastiera della sua Fender Stratocaster una qualsiasi composizione di altri, ne usciva inevitabilmente trasfigurata. L’anno dopo furono pubblicate con la famosa “Nude Cover” che fu sostituita per ragioni di censura, nella seconda edizione da quella con la foto di gruppo, un “frutto insano” che  ruppe subito la quiete identitaria non solo a chitarristi come Eric Clapton e Pete Townshend, ma a tutto il mondo musicale.

jimi-hendrix-la-chitarra-che-ha-fatto-la-stor-L-IDdl2nLa versione inglese dell’album (la più autorevole) inizia con lo “stargate” dei due tonfi/tuoni di “And the Gods Made Love” che introducono lo spazio fantasioso di Hendrix che si manterrà fluttuante per tutto il disco. “Have You Ever Been(To Electric Ladyland)”, la più in sintonia con lo stile di “The Cry of Love” è il famoso brano dove il canto parlato in falsetto di Hendrix si scioglie nella  frase ”Have yoy ever been to Electric Ladyland?”. Con “Crosstown Traffic” parte un rock & roll rotto da stacchi di pianoforte che cascano addosso come massi. La prima versione di “Voodoo Chile” ci coduce nel mondo dei suoi amori musicali, in primis il blues, che dal blando andamento iniziale giunge allo sfogo hard, per poi approdare alla fase attendista sperimentale. “Still Raining, Still Dreaming” (col contributo di Buddy Miles alla batteria) invece, è un blues fumoso, liquidamente colorato, nell’oppiacea penombra underground di qualche sobborgo metropolitano. altro capolavoro è ” House Burning Down”, che contiene la famosa frase “Look at the sky turn a hell fire red, somebody’s house is burnin’ down down, down down”, l’effetto etereo del leslie contrasta magnificamente con la marcetta batteristica di Mitch Mitchell, soluzione di accompagnamento che troverà conferma anche nell’album “The Cry of Love”, in chiusura del pezzo la chitarra di Hendrix imita il crollo della casa. Altro capolavoro è la cover di Bob Dylan  della ballata “All Along the Watchtower”, (col contributo di Dave Mason al basso) che nella versione hendrixiana acquista una nuova identità, un pezzo bellissimo arrangiato con i tre assoli che si susseguono in uno sviluppo narrativo sublime, esprime tutta la raffinata capacità eclettica di Hendrix e  la sua immensa bravura nell’eseguire pezzi dalla natura melodica. Si chiude il primo disco con il lamentoso miagolio del wah-wah che annuncia il grande capolavoro senza tempo, (col contributo di un diciannovenne Steve Winwood al piano e Jack Casady al basso) “Voodoo Chile (Slight Return)”, un mantra-rock selvaggio e infernale, trainato dalla potenza terrificante dei suoi Marshall 100 Super Lead in coppia, dove Hendrix esprime tutta la sua dirompente forza d’urto sulle nostre difese fruitive, per dilagare in un vortice di effetti lancinanti altamente distorti che ci trafiggono, come lame fatali.

Jimi Hendrix-Experience-Voodoo Chile (Slight Return)

imagesIl secondo disco inizia con “Little Miss Strange” composta e cantata da Noel Redding nello stile classico degli uk experience. “Long Hot Summer Night” (con la partecipazione di Al Kooper al piano) contiene l’ inconfondibile suono dall’uni-vibe (effetto leslie) che colora la struttura armonica. Lo scatenato blues di “Come On (Let the Good Time Roll )” di Earl King, introdotto dai noti stacchi di batteria, sfodera i quattro assoli al cry baby vox. Altro super capolavoro è “Gypsy Eyes”, con il suo famoso attacco di batteria e  “segate” di chitarra al fuzz face, un modo di accompagnare unico nel suo genere, non si troverà più altro esempio simile. La stupenda “Burning of the Midnight Lamp”, un lento lisergico arrangiato al clavicembalo e wah-wah, dalle vette sfarzose, apre la porta a volteggianti trasfigurazioni aeree. “Rainy Day, Dream Avay” altro blues che prescinde dal genere classico, è una parata di colori liquidi, che scorrono fluidi e lenti in spazi sottostanti dove nel finale per pochi secondi, unico esempio al mondo, una chitarra “parla”, quella di Jimi naturalmente. I 13:46 minuti di  “1983…(A Merman I Should Turn To Be)” rappresentano acusticamente (e visualmente) nei suoi cambi d’umore, il trip più psichedelico, intrapreso a turno dalla magica triade. Mai nessun altro artista al mondo, nel lontano 1968, aveva osato compiere un simile viaggio, ricco di colpi di scena, contraddizioni emotive e lacerazioni dell’anima, come quella dei “tre angeli”. E “Moon, Turn the Tides…Gently Gently Away” è la sonda spaziale in partenza per l’ultimo volo ai confini della realtà.

Si conclude così, l’esperienza più indicibile, della storia della musica rock e come per tutte le cose acustiche, le parole (anche troppe) per loro natura accessoria, non bastano a svelare l’opera. Quindi, rivolgo l’invito oltre al vastissimo gruppo di conoscitori, a tutti quelli che sono disposti ancor oggi, a distanza di 45 anni dalla sua pubblicazione, a compiere questo irrinunciabile “mistico viaggio”. Non è mai troppo tardi per l’appuntamento con il mito.

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NUDE COVER


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4 Commenti su "Jimi Hendrix Experience – Electric Ladyland"

  1. Simone Grosso | 28/12/2013 at 19:29 | Rispondi

    Capolavoro, che altro.. i tre album in studio del Dio sono eccellenti, questo in particolar modo. Disco pieno zeppo di grandi classici, suonato come dio comanda, Hendrix in forma splendida e grande il lavoro della sua band. Peccato che se ne sia andato troppo presto, e dispiace per le operazioni di sciacallaggio del suo lavoro fatte dalla sua famiglia che ogni anno fa uscire un paio di album inediti di roba neanche male, ma fatte solo per beccare soldi… recensione sempre al top, disco immortale che penso ascolteranno anche tra mille anni le generazioni future, sicuro.

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