Così dissi ai miei occhi ed alle mie orecchie:
“Voglio fuggire, portatemi via”
ed ora qui, mentre io parlo
sono lontano…
ranofornace
High Tide da: Sea Shanties-Nowhere
Affrontare un viaggio dei sensi, vuol dire anche mettere in conto di imboccare la “via di non ritorno”. Si, non solo attraverso la via aerea, ma è come aspettare sulla secca di una spiaggia il sopraggiungere della marea, l’arrivo degli High Tide.
Gli High Tide sono stati una delle band più leggendarie dell’underground inglese, autori di due capolavori assoluti di non-genere, il loro suono è la diretta conseguenza delle ricerche musicali partite da Blossom Toes, Skip Bifferty e Misunderstood, da cui proveniva il suo chitarrista dallo stile poco ortodosso, lo straripante Tony Hill con l’aggiunta del virtuoso violinista Simon House, nel 1972 con la “Third Ear Band” in “Music From Bacbeth”, poi dal ’74 negli Hawkwind. La loro musica non catalogabile, confluisce nell’esperienze dell’avanguardia rock a cavallo fra gli anni ’60 e ’70.
Come ho più volte avuto l’occasione di dire, la fine degli anni ’60 e buona parte della prima metà degli anni’70, furono protagonisti anche della più imponente proliferazione underground anglosassone. Gruppi come Third Ear Band, Edgar Broughton Band, Writing On The Wall, Principal Edwards Magic Theatre e Comus, tanto per fare alcuni nomi tra i miei preferiti, solcavano le scene cittadine, che dalla centralizzata Londra si diramavano per tutto il Regno Unito, in quel clima di esaltante profusione sonora e sperimentazione stilistica. Ambienti marginali, lontani dai clamori del successo, eppure così vitali, con al seguito maree di giovani pronti a giustificare e a condividere esperienze di ogni genere. In questo clima di liberazione, l’inventiva dava sfoggio di sorprendente acume, raggiungendo livelli mai prima toccati. Molto del suono underground era “imbrattato” di rumori, cacofonie e anche di “ingenue puerilità melodiche” prese dal sottobosco folk delle comuni hippie e dei collettivi universitari, attraverso una nuova visione della musica, l’elaborazione progressive.
Il gruppo comprendeva, Tony Hill (voce, chitarra), Simon House (violino, tastiere), Peter Pavli (basso,tastiere), Roger Hadden (batteria, piano), un ensemble dal mutuo soccorso, pluristrumentisti in grado di alternarsi nei ruoli imposti dai brani e capaci di affrontare lunghe jam improvvisate.
Lo stile nasce da una commistione di hard-psych distorto e ossessivo della chitarra di Tony Hill, dialogante col violino elettrico di Simon House, che fluttuano cinicamente su “ispidi marosi sonori” che vanno a morire su brevi derive folk di rara e limpida bellezza. I brani sono delle vere e proprie jam prolungate, aperte, intervallate o chiuse da costrutti prog di derivazione jazz, dove la voce maestosa e imponente del “comandante Hill, fra le piogge, dall’alto della prua della sua nave dei folli, detta i comandi per affrontare le tempeste d’impeto e il Kraken nel mare dell’oltremondo”.
Scusate l’enfasi, ma è solo così che possiamo parlare di “Sea Shanties” del 1969, l’incredibilmente innovativo capolavoro di allucinante dispersione lisergica; “Alta Marea” sui nostri sensi, ormai provati dall’esperienze sonore iniziate nel ’65, un’assoluta novità nel panorama dell’epoca. “Futilist’s Lament” mette in chiaro di che pasta sia, la materia che andiamo a sgretolare, struttura dark, chitarra con distorsore a tutta in primissimo piano, canto sentenziale di Hill, violino e wha-wha lamentoso di House ferito a morte. E la morte scorre nelle vene di “Death Warmed Up”, un flusso di lava vulcanica, dal corso orientaleggiante e qui ritengo di affermare che gli Area di “Arbeit Macht Frei” in “Luglio, Agosto, Settembre (nero)” abbiano orecchiato le suggestioni esotiche di questo brano, un dialogo di violino al wha-wha e chitarra allucinata che “se le suonano di santa ragione”, un brano notevole quanto dirompente, dalle deviazioni sonore imprevedibili, padroneggiate dall’impeto chitarristico del suo “capo banda”. “Pushed, But Not Forgotten”, è un bellissimo brano di quiete. Onde nostalgiche di chitarra e violino con canto melodico, rotte ripetutamente dallo stridente impatto schizofrenico del plettro di Hill. “Walking DownTheir Outlook”, è un brano dalle premesse orecchiabili subito smentite, il canovaccio rimane lo stesso, momenti differenti e cambi di ritmo, la chitarra incalzante di Hill che armonizza e costruisce frasi tutt’altro che melodiche con la stessa tecnica e il violino effettato di Simon House che alterna movenze sinuose a lancinanti stridii, questo è un pezzo a tratti hard-folk, costruito da scale che scorrono benissimo. La lunga suite “Missing Out”, è opera di dark-psych-proto-prog dagli innumerevoli spunti , stacchi e boati vocali, desinenze espressive e automatismi d’intesa narrativa tipicamente rivolti al futuro. L’ultimo brano “Nowhere”, è il capolavoro, la sintesi dello stile High Tide. Preambolo di accordi dalla funzione riffeggiante, accompagnamento violinistico lancinante, stacchi jazzati e sincopi batteristica, diluizioni e ammorbidimenti folk, che sfociano in quella bellissima melodia di dark-folk epico, cantata magnificamente con tono solenne da Hill, un brano semplicemente irraggiungibile per impatto emotivo e rimandi temporali, un miracolo di lirismo greve e struggente che si impone per diritto nella storia della musica rock.
High Tide da: High Tide – Blankman Cries Again
“High Tide”, è l’album omonimo dalla splendida copertina in stile prog, di uno dei gruppi sonoricamente più audaci della transizione psych-prog inglese, anno 1970. Questo secondo album è la continuazione del primo, una rappresentazione proto-dark, più gradevole e rifinita del precedente , meno devastante negli effetti e nel suono.
Il disco è composto da sole tre lunghe tracce, parte con la scala al wha-wha di “Blankman Cries Again”, per accedere all’assaggio della bellissima e autoritaria voce di Tony Hill nel ritornello, che apre all’orgia blasfema e delirante di note accoppiate più travolgente che mi sia mai capitato di ascoltare, termina in uno stacco tipico da rhythm & blues col fragore indefinito di un temporale. Ancora altre scale per “The Joke”, l’artificioso e ostico preambolo cacofonico dal serpeggio orientaleggiante, si dilegua nell’arpeggio distorto cantato da Hill, la nenia pazzoide e petulante intonata dal violino e della chitarra perdura a lungo verso l’apoteosi, per dilagare nella dolcezza più assurda di una affresco country-folk, dalle coloriture rosa-azzurro. “Saneonymous”, è una sincope di flussi esagitati e anarcoidi dei quattro strumenti base, collegati fra loro, finiscono nel suono di una chitarra pulita che avanza a beguine assieme al violino e all’immancabile canto dai toni superbi, (gli stessi di Jim Morrison), ma è solo una piacevole parentesi; la tempesta continua, i due maestri del dialogo improvvisato vaneggiano e come “gabbiani impazziti volteggiano alla pesca fra barracuda affamati”. “Ma è ora di partire e salpare l’ancora verso nuovi mari”, i due protagonisti ritrovano l’accordo melodico per un malinconico finale.
Gli High Tide espressero un sound originalissimo dalla forza dirompente, una lezione nuovissima, qualcosa come ” Alchemy” della Third Ear Band, “Sea Shanties” e “High Tide” possono essere definiti uno dei momenti del progressive lisergico che più ha lasciato una traccia indelebile nel firmamento anglosassone, scorie di noise lungo il cammino per un sussulto di gloria di una band passata direttamente al mito. 1-2 lp, immancabili!
più leggero di un sughero
a danzare per altri mari. “
valutaz. ***** Pierdomenico Scardovi
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