“Aprire la mente, passo dopo passo
è una pratica lunga e difficile
che impegna tutta la vita.”
ranofornace
Area- Luglio, Agosto, Settembre (nero)
Gli “Area” sono stati un gruppo di giovani desiderosi di scoprire.
Questo incipit raccoglie il succo di quella straordinaria esperienza musicale che fu la geniale invenzione del più grande batterista italiano ed uno dei più innovativi al mondo, Giulio Capiozzo, da Cesenatico.
Nei primi anni ’70 tutti i gruppi italiani erano abbagliati dalla luce della nuova era progressive, tutti tranne uno sparuto gruppo di giovani musicisti, persi nelle campagne di Abbiategrasso. In quei giorni la “Bo Bo’s Band”di Leandro Gaetano, Martin Grice e Giulio Capiozzo suonava ottimo rock, terminata l’esperienza, si unirono a loro una serie di musicisti provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa, nomi più o meno noti si avvicendavano in un tumulto convulso a provare tutti i giorni per ore e ore “musica creativa”, fra i tanti c’era quello che divenne per la critica e per il pubblico rock, il più grande cantante sperimentale italiano, Demetrio Stratos. Ma c’era anche chi non s’accontentava di farsi illuminare dai riflessi seduttivi della “nuova era” provenienti da Oltremanica, ragazzi intenti ad esprimere nell’improvvisazione free-form la massima apertura mentale e tutto il talento individuale.
Giulio Capiozzo era andato al Cairo a studiare, scambiare esperienze per otto mesi, è lì che apprese le conoscenze poliritmiche dei tempi dispari, dei ritmi arabi e orientali e le sue capacità compositive erano arrivate al dunque… tornato in Italia, decise di costituire un gruppo alternativo dentro alla compagine non bene definita, ad uno a uno si unirono a lui, il bassista francese Patrick Djivas, Il sassofonista italo-belga Eddie Busnello, il più maturo di tutti, quindi il bravissimo chitarrista ungherese Johnny Lambizzi, Demetrio Stratos e Patrizio Fariselli , così fino al 1972. La ricerca aumentava il suo volume e spingeva verso nuovi orizzonti, in Italia niente di simile si era mai sentito fino a quel momento, “passi nel buio” per gli stessi musicisti, poi Lambizzi lasciò dopo che”Arbeit…” era stato concepito e alla chitarra prese il suo posto Paolo Tofani nel 1973, alla vigilia del loro primo album , lo storico capolavoro di “arte musicale” italiana ed europea non facilmente etichettabile, miscela di rock-jazz-free-form-etno-prog, “Arbeit Macht Frei”, “Il lavoro rende liberi”, dalla celebre iscrizione all’entrata del campo di sterminio nazista di Auschwitz. La prima formazione era composta quindi, da: Giulio Capiozzo (batteria, percussioni), Patrick Djivas (basso, contrabbasso), Eddie Busnello (ance), Demetrio Stratos (voce), Patrizio Fariselli (oragano, voce), Paolo Tofani (chitarra solista, VCS3).
Gli “Area” non è stato un gruppo progressive vero e proprio, la strada da loro intrapresa è quella orgogliosamente autarchica e alternativa al gusto “mainstream”, lungi dal voler raccogliere l’acquiescenza delle masse giovanili, ma piuttosto quella impegnativa dell’agit-prop marxista leninista europea. Erano comunisti dichiarati nel senso massimalista-anticapitalistico-rivoluzionario e si proponevano se non di cambiare il mondo, modificare almeno la sensibilità umana partendo da loro stessi, senza fare attivismo politico vero e proprio. L’azione del gruppo di Demetrio Stratos e Giulio Capiozzo era concentrata tutta verso la liberazione della percezione della mente e dello stile di vita individuale, spogliato degli schemi precostituiti acquisiti nell’arco della storia dalla società dei consumi. Liberarsi quindi attraverso la creatività e liberare la creatività per liberarsi. Operazione culturale radicale con pochi compromessi, unica nel panorama italiano di quei giorni. L’appoggio alla casa discografica Cramps, fu accettata come un’opportunità divulgativa più che un monopolio di potere, infatti questa, non attuò mai nessun tipo d’ingerenza sulla loro musica. Formatosi definitivamente il primo gruppo, Stratos avrebbe preferito cantare in inglese, ma fu convinto dagli altri a optare per la “madre lingua”. Tuttavia gli “Area” pur avendo le capacità tecnico/compositive dei jazzisti, incominciarono a mescolare schemi come l’introduzione, il tema e le variazioni presenti anche nella musica classica, con il rock ed il jazz, non trascurando le conoscenze etno-folcloriche apprese dai vari ascolti discografici di musica bulgara, araba, orientale e indiana, nonchè le sonorità e i ritmi della musica latina, acquisite negli innumerevoli viaggi (culturali) in Sud America. Tutto ciò permise al gruppo di sviluppare una forma musicale con partiture ricche e complesse, tipiche del “progressive”, senza trascurare l’improvvisazione, vero punto di ricerca di “massima espressività” individuale, nel momento e come momento stesso della composizione.
Area-L’Abbattimento Dello Zeppelin
La poesia in arabo o dialetto egiziano, di “Luglio, Agosto, Settembre (nero)”, apre il disco “Arbeit Macht Frei” in modo suggestivo che annuncia il riff più conosciuto e trascinante di tutta la discografia del gruppo, è una felice composizione melodica di Giulio Capiozzo, lascia la platea alla voce di Demetrio Stratos . Il brano cantato dovrebbe essere la traduzione del testo poetico; tematica contro la guerra, trovato e registrato piratescamente da Giulio Capiozzo al museo del Cairo. Spiegava Stratos nel 1974: “Il contenuto politico secondo me c’è anche senza che io dica: “Noi facciamo un pezzo per i compagni palestinesi…”. In radio non ci hanno mai trasmessi, chiaramente tutti avevano dei blocchi morali, si scandalizzavano perché abbiamo fatto un pezzo che si chiamava “Settembre Nero”. E’ un brano spiccatamente orientaleggiante ed efficace a tempo dispari diretto dai fiati di Eddie Busnello su un tappeto ritmico incalzante rivestito dalle tastiere di Patrizio Fariselli, il tema poi lascia il posto ad una divagazione free-form-jazz di stampo canterburyano alla Soft Machine/Henry Cow, nonché alla Zappa/Beefheart, dove la forza espressiva extra percussiva di Capiozzo unita alle farneticazioni vocalistiche di Stratos, coloriscono e alleggeriscono il clima impegnativo del tema. Gli 8 minuti di “Arbeit Macht Frei”, iniziano con le “escursioni timbriche” di Giulio Capiozzo che formalizzano lo spazio sonoro per una focalizzazione “progressiva” alla Nucleus con divagazioni coltreaniane e dolphyane free di Busnello, apre al canto di Stratos intento a sfoderare il suo primo jodel selvaggio, (acquisito dallo studio del grande Leon Thomas), che ripeterà poi nel finale, portano ad una partitura arricchita dal moog, prettamente gentlegiantiana pressoché perfetta. “Consapevolezza”, parte con un costrutto orchestrato a stacchi con fraseggi e cambi di ritmo, si scioglie in un’evanescenza sonora padroneggiata dal moog prog di Paolo Tofani, dove il canto teso e istrionico di Stratos interpreta il testo sulla liberalizzazione individuale con padronanza dei toni e jodel tarziani, si alterna tra le frasi sincronizzate al saxello suadente e rarefatto di Eddie Busnello ed alla batteria spazializzante di Giulio Capiozzo; termina in apoteosi ritmica gentlegiantiana convinta e coesa .
la sincronica introduzione di “Le Labbra Del Tempo” apre al canto e alla chitarra al phaser di Paolo Tofani, la batteria, il basso e le tastiere vanno in crescendo in una’atmosfera liquida che riempieno lo sfondo sulla recita cantata sino ai virili e spavaldi acuti del suo frontman, giungono allo sfascio free, per poi ricomporsi e aprire il campo alle calde rotondità tonali di Stratos e chiudere in rock-jazz a ritmo serrato e quadratissimo. Il magnifico sax contralto di Busnello diretto dalla ritmica cattedratica di Capiozzo in “240 Chilometri Da Smirne”, è un brano tutto strumentale, che riporta la musica agli ordini della realtà della partitura, dà le dimensioni della personalità tecnica dei due musicisti in un psych-fusion che trascende l’essenza del jazz, adottando una struttura modale per approdare verso spazialità aperte, dettate qualche anno prima da Miles Davis, lasciano il posto alle effusioni sornione di Patrick Djivas e al moog alla “Manfred Mann Earth Band” di Tofani. “L’Abbattimento Dello Zeppelin” è forse il momento più emozionante del disco; un clarinetto basso vaga per una radura abitata da inquietanti presenze sonore al VCS3 , colpi di scena ben congegnati intervallano a sovrastare le sonorità con una ritmica incalzante e frazionata da stacchi jazzati alla Ian Carr & Nucleus; una chitarra imbizzarrita e leslieata grida le sue ansie, la performance recitativa di Stratos, sospesa ai limiti della teatralità e della poesia surreale, amplifica vertiginosamente le virtualità spaziali. Non credo che il titolo abbia qualche attinenza al gruppo di Jimmy Page e Robert Plant, il testo rivela a discrezione dell’ascoltatore, il conflitto fra responsabilità ed ineluttabilità dei fatti della vita; tutto termina nel caos noise, riportando poi la musica agli ordini della realtà della partitura.
Da sempre, Giulio Capiozzo ha inteso la batteria non solo come uno strumento ritmico, dalle percussività del bacino mediterraneo ai groove afroamericani di Elvin Jones e Tony Williams, ma anche armonico, capace di emettere note dai suoi componenti. Per Demetrio Stratos la voce umana era uno strumento musicale da poter sperimentare le potenzialità, fino agli estremi timbrici e tonali. Il più maturo del gruppo Eddie Busnello, era un musicista di levatura europea ed il suo apporto ha elevato qualitativamente il livello del gruppo. Tofani, Djivas e il bravo Fariselli erano giovani intraprendenti desiderosi di esprimere tutto il loro talento, in questo primo e indimenticabile album, l’inevitabile e irrefrenabile capolavoro di apertura cerebrale, “Arbeit Macht Frei”; l’inizio di un percorso duro e tortuoso che li rese “artisticamente liberi”. Tant’è che fecero molta impressione per innovazione e libertà espressiva, a gruppi come Nucleus, Gentle Giant, Soft Machine, Gong, Hatfield And The North, in apertura dei loro concerti.
Oggi questo album, oltre a rappresentare una tappa fondamentale della “musica popolare” o se si vuole rock-jazz italiana contiene semi di “world music”, prima della sua ufficiale definizione. L’“international popular group” rimane un motivo d’orgoglio per tutti, specie dopo la susseguente, cospicua ed eccellente discografia. Infine oserei dire che, dopo la loro prematura dipartita, Stratos e Capiozzo sono stati relegati al mito per noi itallici musicofili appassionati, molto di più di come loro avrebbero voluto essere definiti, ovvero, “solo bravi musicisti”.
Giulio Capiozzo prima di lasciarci ha avuto l’onore e il privilegio di essere stato l’unico batterista italiano ad essere chiamato in America per suonare insieme a gente come: Curtis Fuller, Stan Getz, Dexter Gordon, Chet Baker, Michael Breker, Lee Konitz, Gary Bartz, Kenny Clarke, Miles Davis, Jimmy Owens, ecc.
Grazie a Christian Capiozzo (figlio di Giulio), per la cortese disponibilità alle mie domande.
valutaz.***** Pierdomenico Scardovi
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