Lo stagno di ranofornace: “L’attesa scorre lungo il filo del paradosso” – “Paracelso era sospeso”

 

“Molte cose incomprensibili non hanno fascino ma alcune contengono il fascino dell’incomprensibile.”(ranofornace) ranina picciina

 

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi-Gentle Walk – 1980 (file originale)

attesa 4 c buonaL‘attesa scorre lungo il filo del paradosso 1986 – Pierdomenico Scardovi

Continuiamo il viaggio con la stessa panacea. Il tempo è tiranno ma guarisce da tutti i mali. Attendersi dalla vita di scorgere segni profondi di realtà, durante la contemplazione spettacolare e solitaria di un’alba trasfigurata o di un tramonto crepuscolare, è ciò che di meglio si possa attendere. E il fatto magico è quando si riesce a cambiare in quei momenti il ritmo del tempo. Ebbene, spezzarlo, portarlo in frantumi e trovare nei suoi attimi un piccolo pertugio dove possa liberarsi il fluido fascinoso della ragione e sentire la bruciante morbidezza di un sentimento profondo verso le cose. Ecco allora, si può supporre, nell’intensità del sentire e nei limiti di una condizione intuitiva, di essere a faccia a faccia con le particelle di una verità interiore, percepita nell’interezza di un’emozione, tale che la si vorrebbe ritrovare dove è stata lasciata per non farsela scappare.

E’ quell’intensità a condurre portare alla sua naturale dimora. Un luogo fisico e dello spirito legato da vincoli di vissuto, dove si propaga il resoconto della memoria che sovrasta lo scorrere del tempo come un ponte. Lì, dove sono avvenuti fatti dolcissimi, fatti drammatici; lì, dove si è messo in discussione l’identità di quel luogo, sbalzato nel mondo dei sogni o degli incubi (come la casa di Dorothy  nel “Mago di Oz”), si risveglia l’antica e illuminante coscienza di noi stessi. E’ giunto finalmente il momento di risvegliare i ricordi per poterli distinguere e lasciarli macerare tra le radici di una pianta nascente che si presta a rimarginare ogni ferita, ad assopire ogni dolore, per traghettare il sentire sulla sponda di una “terra amica”. E’ lo stesso luogo nella selezione e combinazione dei fatti, nella selezione e combinazione immaginaria: il vissuto, appunto. Sottoposta perciò, ogni sfumatura sedimentata, al trattamento della coscienza, si attendono i frutti.

Al sole di un “nuovo giorno,” le spore inseminano di fresche ragioni i nostri pensieri che si adagiano come frutti indeiscenti a maturare tra le grinze del cuore ostinato e infranto, per ricreare il gusto delle fragranze e degli odori, di quelle esperienze nel fluire di un tempo rigenerato. E come fiocchi di neve silenziosa la sofferenza si scioglie in gelide gocce, penetra nel manto sensibile e assorbente dell’interiorità ad irrigare “l’albero della saggezza”. Il “viaggio di Ulisse” è terminato e finalmente siamo a casa per riprendere con spirito nuovo il nostro sogno. Questo può capitare, quando si scava nel senso della vita.

Ci sono immagini interiori fantasiose, a cui affidiamo il potere di interpretare le astrazioni della nostra mente. Queste sono sostituibili da altre immagini che a loro volta sono sostituibili da altre… e via scorrendo formano una catena. Alcune si offrono alla memoria in frazioni di tempo in cui il nostro passato appare ripulito dal disordine. Sono le immagini paradigmatiche che emergono alla visione. E’ la rivelazione! I sentimenti e le emozioni appaiono in perfetto equilibrio, aprono ad immagini riconoscibili e riconducibili alla nostra vita più intima. Sono le chiavi e il tesoro della valigia dei sogni.

holocausta fiore 1 2015(Holocausta) “4” 2015

Paracelso era sospeso

Il talamo delle idee sarà l’alcova di tutte le pene.
O vate fracassato e misero lecca la ferita
sottomessa al dono di Dio!
La vanità disseminata negli humus dei raccolti
della ragione sveste i sogni
e il canto pudico dell’umanità.

Quattro le funi attorcigliate alla vita
saranno loro le bestie sbranate
a scendere flautamente il sottoscala.
Non vedi rivoltare rovine tra l’arida terra
ciuffi d’erba fremere al gelo dell’inverno?
Le lucciole nel cielo starnutiscono un pallido bagliore.

Le cariatidi reggono nuove moschee
Cristo, schiodato dagli alchimisti del diritto
è trafitto dalla serpe accasata nel Sepolcro.
Le finestre deflagrano su elegiaci orizzonti
gli orologi digrignano i denti sulle lame di Keris
scannano il maiale nell’ora della follia.

E l’eterna giovinezza…
come aura zincata d’autunno muore.
Sugli altari bolsi
l’etere assunto dai suoi capelli turbina sapori.
Adesso s’inventeranno nuove utopie
adesso… era nell’aria aprire pascoli steccati.

E giunse al tramonto la bellezza…
Ella sentì sgranare le termiti dentro i catafalchi
scrollare i parapetti sulle piazze smarrite
gli schizzi della pituita traboccare i balsamari.
E giunse l’inconfessato tormento della ragione
dissipato nel cuore al crepitio della sera.

Attorno ai fuochi danzavano il girotondo gli angeli
sinuose movenze sulle ginocchia delle dee
in un tripudio di promesse ai timpani della notte.
Lo sfavillare delle scranne decrepite
volteggiava in un’orchestra di ottoni e lire
il gemere in coro dei satiri al piacere della vita.

Vide l’oscurità sedente ai prati
file di legni sposare la terra
sciogliere i templi sui mosaici d’oro e di turchese.
Tra i marmi il pullulare delle larve in fasce
piccoli feti dismessi nella carne
staccare la buccia dal loro fragile osso.

Di tutto questo secolo sento il miasma della sorte
gingillare sul collo della seducente Europa
così ingrata ai suoi padri e seviziata nei giacigli.
Nascondo la ragione per modellare il cuore
in una sorta di inconfessata solitudine.
Sento il disfarsi nella terra le gemme dei suoi fiori morti.

Inutile strappare pagine dall’antico formulario
la vanità ha divorato il cuore e la faccia del mondo.
Per le stade deserte rantolano i garriti del vento
ad involare i demoni dalle anse di Ereb.
Lassù braccano i lupi fra i ghiacci del deserto
strinano gli occhi al gregge inerme.

Le foglie apparecchiate nel verde cenacolo di Parnaso
saranno mangiate da cannibali osceni.
Ceffi di città d’idrocarburi
apriranno le botole lezzose di combusti
e inghiottiranno voracemente
tutti i nostri sogni.

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi 1982

“Paracelso era sospeso” 1982 – dieci strofe da sei versi liberi. E’ la prima, assieme a “I vermi di Platone” e “Il cimitero di Arlecchino” (link link) di un trittico poetico in stile neo-decadente. Un canto inteso come flusso alternato fra fuga e consapevolezza, nel tema dell’identità individuale e culturale del sottoscritto. Un condensato poetico fatto di riflessioni, profezie e confessioni in cui si stampano nelle emozioni e nei sentimenti, folgoranti intuizioni, conflitti ed evasioni. Unica nota tecnica: l’uso del  verbo al futuro solo nella prima, seconda, quarta e ultima strofa.

“Gentle Walk” (Dolce Passeggiata) – 1980. Combinazione intrecciata di due chitarre acustiche, di cui una suonata in sovra incisione, anche questo brano è stato eseguito senza alcuna preparazione. Vuole ripercorrere l’emozione agreste e bucolica di un momento sereno lungo i sentieri semplici e naturali della fanciullezza, attraverso la qualità evocativa del folk acustico. “E’ la serenità cercata e ritrovata… Come un azzurro meriggio si fa largo, spazza via le irrequiete nubi” (rano). Pierdomenico Scardovi (voce, chitarra acustica).

L‘attesa scorre lungo il filo del paradosso (1986). E’ una poesia minimalista in cui titolo e versi compongono il testo. Una delle mie poche a chiudersi fra le pareti di una concettualità astratta. Non ci sono slanci sentimentali, sensazioni, non ci sono immagini descrittive  ma solo quella di una situazione psicologica, dove il tempo, eludendo quello della narrazione poetica, si mostra in una dimensione ambigua: “scorre e si frantuma; si frantuma e scorre” in relazione a qualsiasi referente (persona, cosa, sentimento, vita). E il gioco di parole racchiude la sua verità: “Attimi assenti si protraggono a cercare l’attimo che possa includere la TUA assenza (io in te) .” (ranofornace 1976)

4” – 2015. Appartiene alla serie di opere chiamate “Holocausta”. Essendo anch’essa un opera noumenica non richiede necessariamente che sia conservata ma solo la sua documentazione visiva. Sfrutta la rifrazione della luce come componente esterna; una condizione contingente d’instabilità immaginaria. La sua aleatorietà spreme il succo della questione: per l’ennesima volta riduce il significato ad un gioco di rimandi ambigui e sfuggenti.

“Stigma” (carta sindonica) – 2015 opera aniconica, è una forma reliquiaria. Pronunciare o scrivere una parola, compiere un’azione, produrre un’opera ha un valore intrinseco dentro l’economia di una esperienza artistica individuale. Quando invece l’oggetto o la parola si propongono di significare-rimandare (a) “qualcosa” in un contesto plurale/sociale, istituzionalizzato acquista una sua posizione di confronto con le varianti dell’universo culturale, comunicativo, informativo dell’arte inteso non solo come spazio, ma come idea. Apre prospettive di critica valutativa e/o ideologica imprevedibili e incontrollabili.

albore 2(carta sindonica) “Stigma” 2015

“Quando l’arte, presa da stimoli di seduzione smetterà di abbagliare le menti… Quando, spogliata degli effetti dell’eccessivo tecnicismo che riveste attualmente il suo look intento a minarne i significati nel valore della leziosità come sostituta presunta, potrà riacquistare nella dimensione metafisica della conoscenza il valore della profondità come cosa in sé, senza alcuna contrapposizione qualitativa al valore legittimo insito nel concetto di superficialità; negli equilibri che sostengono la forma. In questo modo saprà tornare ad immergersi nel fondo angusto su cui appoggia l’esistenza umana, per elevarla con le qualità della sua forza simbolica a “mitografica”. Allora si… sarà degna ancora del suo percorso.” (ranofornace 1985)

rano 2sasso nello stagnoGrazie dell’attenzione.

Pierdomenico Scardovi

 

foto in evidenza “attesa” di Federica Scardovi


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