“L’alba del tuo amore
mi uccide.”
ranofornace
Pete Brown And His Battered Ornaments-Dark Lady
E’ da tempo che penso al poeta “marginale” dell’epoca blues inglese Pete Brown, perché come lui ce ne sono stati pochi, ci si può solo inchinare a chi ha onorato con si fatta originalità, con talento e senza presunzione la storia della musica rock.
Pete Brown è conosciuto principalmente per la sua collaborazione con Jack Bruce come paroliere dei Cream, firmatario di capolavori come “Sunshine Of Your Love”, “White Room”, “Politician”, “I Feel Free”. Sappiamo che era anche poeta londinese, veterano della scena beat-underground con il gruppo da lui fondato dei “Battered Ornaments”, artefice del primo e unico disco misconosciuto “A Meal you can Shake Hands with in the Dark” (Harvest 1969), insieme al chitarrista Chris Spedding, frequentatore della scena jazz inglese.
Pete Brown And His Battered Ornaments-The Old Man
La line-up dei Battered Ornaments, diretta da Pete Brown (voce e testi), comprende: Pete Bailey (percussioni), Charlie Hart (tastiere), Dick Heckstall-Smith (sax), George Kahn (sax), Roger Potter (basso), Chris Spedding (chitarra) e Rob Tait (batteria).
Opera ispirata e di grande fascino questo “A Meal…”, pervasa da una “diversità” di fondo e interpretata dal suo leader con efficace eclettismo stilistico. Opera che contraddistingue tutta la sua travagliata carriera e che pone la sua poetica nel lirismo irriducibile della psichedelia folkeggiante del blues revival di Graham Bond. Lavoro a diverse facce, con brani magnifici e strampalati, dominati dalla robustezza del blues, intrisi di effusioni lisergiche, tutti ben arrangiati e alcuni anche in modo piuttosto originale, nel senso che emanano una stranezza poetica difficilmente risentita su altri interpreti. Salta subito all’orecchio il canto vissuto e istrionico di Pete Brown, la voce rozza, graffiante, a volte malinconica, su testi irriverenti con toni sarcastici e con un comune denominatore interpretativo con quella di altri grandi teatranti del vocalismo inglese: Arthur Brown, Roger Chapman e Alex Harvey.
Pete Brown And His Battered Ornaments-Station Song
Fra tutti, risalta la chitarra pulita di Chris Spedding, usata in modo contenuto e appropriato, dall’andamento ondeggiante nel caso di “The Old Man”; delicata ed evocativa nella stupenda e sognante “Station Song”, vero capolavoro di estraniazione emozionale; sgangherata, nella beefheartiana e monologante “Politician” firmata anche da Jack Bruce; ubbidiente e composta, nella marcia flautata di “Rainy Taxi Girl”. Ricordiamo inoltre la tribale e attendista “Sandcastle” con wha-wha miagolante, di puro stampo psichedelico assieme a “Station Song”, poesia minimalista esotico-lisergica sui colori dalle connotazioni orientaleggianti e il conclusivo più tradizionale “Travelling Blues” suonato al sax da Dick Heckstall-Smith preso in prestito per l’occasione dai “Colosseum”, con lievi e piacevoli atteggiamenti stonanti. Un particolare riconoscimento va anche al sax free di Nisar Ahmed Khan in “Dark Lady” con ancora quello di Dick Heckstall-Smith e da solo in “Politician”.
Pete Brown And His Battered Ornaments-Rainy Taxi Girl
Non sarà sufficiente per il poeta urlatore Brown, firmare tutti i pezzi (anche del secondo album “Mantle Piece”), sarà estromesso dai Battered Ornaments la stessa notte prima del concerto ad Hyde Park in occasione del “memorial concert for Brian Jones” per contrasti di relazione, dato il suo difficile carattere. Di conseguenza, Brown formerà un nuovo gruppo tutto per sé, i “Piblokto“, per un genere più melodico e meno elaborato ma pur sempre ricco di fascino ed infine si unirà a Graham Bond. Ritorno a dire che per durata delle tracce e variazione dei temi, questo è un lavoro leggendario del rock underground inglese di fine ’60; l’inconfondibile matrice blues, un misto di sperimentazione fra psichedelia-progressive-jazz e r&b, con picchi espressivi disarmanti e testi pervasi da malinconiche e irriverenti folgorazioni accusative.
Ancora oggi, questa magnifica opera lasciata ai margini troppo in fretta, stupisce l’ascoltatore. Il fascino straniante di “A Meal…” risulta come una vera e propria infatuazione immaginativa per un mondo popolar-pittoresco fatto d’istrioni ispirati, poco valorizzati e capaci di trasmettere insolite e seducenti emozioni. Quest’opera è consigliata soprattutto a coloro che amano le cose decisamente fuori dalle convenzioni e dalla banalità, che non si abbandonano alla gratificazione mainstream e rifiutano totalmente le raffinatezze del pop. Consiglio vivamente di disperdere le spore bizzarre di questa musica libera nell'”ambiente”; in quell’attualità senza distinzioni, ostentante oramai di riconfermare la propria smaliziata “conquista culturale” sempre più avara di slanci retroattivi.
valutaz. *****
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