IL LUNEDI NERO DELL’EUROPA, ASPETTANDO LA FINE DEFINITIVA

L’Europa che uscirà dalla drammatica crisi greca, quale ne sia la conclusione, non sarà la stessa Europa che ci è entrata e il mutamento non sarà per il meglio.

Nessuno fa una bella figura: non i greci, che prima hanno truccato i conti e poi hanno fatto promesse che già sapevano di non poter mantenere. Ma certo neanche le cosiddette istituzioni – Fmi, Bce, Commissione di Bruxelles – assai più preoccupate, fin dall’inizio, di salvare le banche dei paesi forti piuttosto che l’economia greca. Che dire poi dei tecnici che hanno clamorosamente sbagliato i conti, valutando che l’austerità avrebbe causato una lieve e temporanea flessione dell’economia, che si è tradotta invece in un interminabile precipizio dove è finito inghiottito un quarto della ricchezza nazionale. O dei dirigenti del Fmi, che continuano a reclamare scelte politiche clamorosamente sconfessate dai loro stessi esperti. O dei politici europei, preoccupati esclusivamente di recuperare, per non far brutta figura con i loro elettori, i crediti concessi specialmente dalle banche tedesche ad Atene.

Cosa vuole l’Europa da Atene? Privatizzazioni spinte, niente tasse sulle imprese, tasse invece sui consumi, flessibilizzazione del mercato del lavoro con riduzione del potere sindacale, taglio di salari e pensioni. Sono indicazioni che risalgono ad una precisa matrice teorica: la Thatcher appunto, o, per dirla con più eleganza, mentre altrove, ad esempio negli Usa, si sceglie con successo di puntare su Keynes e un rilancio della domanda, l’Europa insiste sulla strategia dell’offerta, sulle misure supply-side. Ѐ la logica delle riforme di struttura, come priorità esclusiva della politica economica.

Ѐ la logica giusta? Forse. Molti economisti non ne sono convinti: diciamo che il dibattito è aperto. Il problema è che, nel caso greco, sicuramente non funziona. La Grecia non è la Spagna. Soffocare la domanda interna, per comprimere i costi e rilanciare le esportazioni non funziona, perché la Grecia non esporta. Il suo export, fra olio e yogurt, non supera il 10 per cento del Pil. Troppo poco per funzionare da leva. Magari in futuro sarà diverso, ma oggi è così e non cambierà nei prossimi due anni. Comprimere la domanda interna per fare spazio a quella estera significa togliere alle imprese il solo mercato che hanno, quello interno, e rendere inutili gli incentivi fiscali e salariali che tanto si vuole mettere in campo. L’unico settore aperto verso l’estero della Grecia è il turismo e non si può non chiedersi come possa venire in mente agli economisti della troika di reclamare un aumento dell’Iva sulle fatture di alberghi, campeggi e ristoranti, tanto per rendere meno proficua la stagione turistica che sta iniziando. Che Grecia hanno in mente uomini e donne della troika? Il fatto che i tassi di partecipazione al mercato del lavoro, nonostante cinque anni di deregolamentazione selvaggia, non si siano praticamente mossi, sembra indicare che non è la Grecia reale, ma un paese immaginario. Di solito, questo avviene quando l’ideologia prevale sul buon senso.

Tutto questo significa strangolare la Grecia, ridurla ad un feudo della Germania, che Europa è questa, dove invece di offrire solidarietà, si preferisce affamare il popolo greco, che di colpe non ne ha? Le colpe semmai sono dei loro politici, ma non di questi, bensì di quelli che hanno provocato il disastro e anche dei politici europei, che al tempo non hanno fatto i controlli dovuti, la Germania dov’era quando le sue banche elargivano prestiti alla Grecia? Da quei prestiti, nasce il disastro attuale!

Ricordiamo un dato che la dice lunga: nel 2009 erano 3000.000,oo i greci a rischio di povertà, oggi sono oltre 6.000.000,oo, su una popolazione di 11.000.000,oo.


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Il Direttore Giuseppe Bartolucci

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