LA GRECIA AD UN PASSO DAL DEFAULT

Il referendum, in teoria, è una delle forme più dirette di espressione democratica. Comporta una risposta spesso semplice, un sì o un no, e il suo obiettivo – in teoria  –  è fare chiarezza su questioni che paiono confuse. Quello convocato da Alexis Tsipras il 5 luglio per far decidere ai suoi concittadini se accettare o meno le proposte di compromesso di Ue, Bce e Fmi nasce invece su una domanda quasi retorica  –  il 70% dei greci vuole rimanere nell’euro per i sondaggi, il 50% anche a costo di un cattivo accordo  –  ed è destinato invece a creare da subito molti più dubbi che certezze.

Quale sarà la reazione dell’ex-Troika che nella notte era tentata di ritirare il compromesso su cui i greci dovrebbero votare? Sarà possibile estendere di qualche giorno il piano di salvataggio, operazione che dovrebbe essere votata in alcuni paesi Ue?  Come sarà formulato il quesito visto che (in teoria) la Costituzione ellenica non prevede consultazioni popolari su temi fiscali? Cosa farà il presidente della repubblica Prokopis Pavlopoulos, uomo di Nea Demokratia, chiamato a convocare un voto contestato dall’opposizione? Riuscirà Atene  –  difficile  –  ad arrivare al 5 luglio senza imporre severissimi controlli sui capitali che rischiano di fare precipitare la situazione? E, soprattutto, come farà il governo Syriza a votare in parlamento norme che ora respinge con durezza in caso di vittoria del sì?

Il caos istituzionale in Grecia era evidente già nella notte. L’ex presidente del Pasok Evangelis Venizelos ha chiesto a Pavlopoulos di non accettare la proposta di referendum. Antonis Samaras, leader del centrodestra, ha ribadito che per lui la domanda da fare ai greci è se vogliono rimanere nell’euro o no. Syriza ha provato a sostenere che il quesito sarà solo sulla proposta dei creditori e che non avrà  –  difficile immaginarlo  –  alcun effetto pratico. La prima vera risposta del paese arriverà però oggi dai bancomat, da Bruxelles e dalla piazza. Nella serata di ieri in alcune banche della periferia si sono formate lunghe code alle due di notte per ritirare i soldi, nel timore di una chiusura a tempo indeterminato delle banche.

“Bisogna mantenere il sangue freddo”, confidava poco prima dell’alba una fonte governativa. Vero, e il primo problema sarà reggere una piazza dove nei giorni scorsi si sono alternati (con qualche frizione sempre più evidente) i fronti pro e contro l’euro in un escalation di tensione che il referendum rischia ora di esacerbare. L’opposizione insiste a chiedere elezioni, sostenendo che quella sarebbe la via maestra per far decidere ai greci il loro futuro. L’Eurogruppo di oggi si troverà sul tavolo la bomba sganciata da Tsipras e dovrà prendere alcune decisioni cruciali. Tra le quali come accompagnare  – magari anche con aiuti  –  Atene verso il referendum nelle prossime difficilissime ore. Difficile che l’ex Troika, spaventata dal voto, possa fare marcia indietro oggi. Anzi. La mossa di Tsipras potrebbe ridare fiato ai falchi del rigore che da tempo sostengono che è meglio abbandonare il paese al suo destino per non dar corpo ai nuovi movimenti anti austerity che stanno nascendo nel continente. La matassa ellenica si è ingarbugliata ancora di più. E il referendum, invece che portare chiarezza, ha reso il gioco molto più complicato e  –  sostiene qualcuno  –  pericoloso.


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Il Direttore Giuseppe Bartolucci

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