TRE MASSACRI: LA STRATEGIA DEL CALIFFO

Turisti falciati sulla spiaggia a colpi di kalashnikov, tra ombrelloni e sedie a sdraio. Un attentato a un impianto del gas vicino a Lione, con il marchio dell’orrore– nel cuore dell’Europa. Dopo le stragi al Charlie Hebdo e al Museo del Bardo, Francia e Tunisia si ritrovano unite da una lunga scia di sangue. Dietro agli attentati di oggi, come a quelli del recente passato, non c’è nulla di casuale. Le menti del terrore non hanno inteso colpire nel mucchio, il terrore per il terrore, ma hanno scelto con cura i loro obiettivi, i luoghi da colpire, i Paesi in cui rilanciare la loro duplice sfida mortale: all’Occidente e a quella Tunisia rimasta l’unica nazione dove la “Primavera araba” non è sfiorita in un “Inverno” islamista.

Ogni attacco contiene in sé un alto valore simbolico e, insieme, una chiara strategia politico-militare praticata con assoluta determinazione. In Tunisia, colpire la sorgente primaria dell’economia: il turismo, per alimentare il malessere sociale, già forte soprattutto tra i giovani, e fare opera di reclutamento tra i senza futuro, offrendo loro identità e denaro.

Dopo la strage del Bardo, il turismo è crollato del 20%. Oggi, dopo il massacro di Sousse, è destinato a precipitare ulteriormente. Ma non c’è solo questo. La Tunisia è un obiettivo per i jihadisti perché il governo guidato da Habib Essid è frutto di un accordo multipartito che include degli islamici moderati di Ennahda, rappresentando un esempio più unico che raro di coalizione fra le diverse anime del mondo arabo Ieri il Museo di Tunisi, oggi i due resort di lusso a Sousse: l’offensiva è scatenata. L’obiettivo è dichiarato: realizzare il “Grande Califfato del Maghreb”, estendere il territorio controllato dalle milizie jihadiste dalla Libia alla Tunisia, dall’Algeria al Marocco. Ridisegnare la cartina geografica del Nord Africa, proiettando il proprio sistema di alleanze fino alla Nigeria di Boko Haram.

Le stragi fanno parte di una strategia che non lascia nulla al caso, e che prevede anche alleanze tattiche tra fazioni rivali, patti d’azione, e di affari, con le organizzazioni che trafficano esseri umani, armi, droga. Un disegno che coinvolge anche le tribù dei deserti, da quello libico all’area di confine fra Algeria e Tunisia, estendendosi fino alla polveriera del Sinai. Un’area vastissima, dove gli eserciti regolari fanno fatica ad avventurarsi, dove le leggi dei governi sono carta straccia.

STRATEGIA D’ATTACCO
In Tunisia, è innanzitutto attiva Ansar al-Sharia, gruppo qaedista fondato nell’aprile 2011da Abu Ayadh al-Tunisi,già fondatore del Gruppo Combattente Tunisino, altra realtà radicale salafita, e liberato dalla carceri tunisine dopo la caduta di Ben Alì nel 2011, così come molti altri appartenenti al gruppo che, oggi, potrebbe contare su oltre 1.000 miliziani.

Ansar al-Sharia, legata all’Ansar al-Sharia libica, è dietro la catena di attentati politici che ha insanguinato il paese nel 2013 e 2014 e all’attacco all’ambasciata americana nel Paese del settembre 2012. La roccaforte del gruppo è il massiccio del Djebel Chambi, nel governatorato di Kasserine dove a metà febbraio in un attacco terroristico sono state uccise 4 guardie di frontiera tunisine e teatro anche in passato di attacchi come quello costato la vita al deputato Mohamed Ali Nasri, del partito di governo Nidaa Tounes, o quello che ha avuto per obbiettivo la casa dell’ex Ministro dell’Interno Lotfi Ben Jeddou. Ansar al-Sharia, ma anche altre realtà jihadiste, utilizzano quest’area come santuario e corridoio per il traffico di armi ed il passaggio di miliziani dalla Libia all’Algeria, fino al nord del Mali.

Va inoltre sottolineato come la Tunisia sia uno dei principali esportatori di jihadisti in rapporto alla propria popolazione, 4-5.000 solo in Iraq e Siria (2.500/2.900 tra le fila di Jabhat al-Nusra, costola siriana di al Qaeda, e 1.000/1.500 in Isis) la maggior parte di età inferiore ai 30 anni. “I jihadisti salafiti hanno fatto la scelta strategica di inviare giovani in Siria, dove addestrarsi ed eventualmente tornare a combattere in Tunisia” , rimarca Slaheddine Jourchi, tra i più accreditati analisti tunisini dell’Islam radicale armato. Inoltre novemila tunisini sarebbero stati fermati dalle autorità di Tunisi nell’intento di andare a combattere in Siria. Di questi, secondo il ministro degli Interni Lofti Ben Jeddou, tra i 400 e i 500 sono rientrati in patria. Si tratta soprattutto di diplomati e disoccupati, in un Paese, la Tunisia, che è tra quelli arabi maggiormente istruiti con una popolazione di 11 milioni di persone, dove la disoccupazione resta alta.

LE MIRE DEL CALIFFO
Dalla trincea siro-irachena, la sfida del “Califfo” Abu Bakr al-Baghdadi avanza in Tunisia, raggiunge il Kuwait (un attentato viene rivendicato dall’Isis contro una moschea sciita a Kuwait City. L’attacco avviene durante la preghiera del venerdì, il secondo di Ramadan, quando il luogo sacro è pieno. Almeno 25 i morti) e si proietta anche in Europa. E in primo luogo, nei Paesi euromediterranei. Come la Francia. Stando a fonti di intelligence occidentali, in Europa sono attivi 300-400 “rientrati”, alcuni dei quali anche in Italia. I “rientrati” – rimarca in proposito Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa (RID) – sono capaci di condurre autonomamente, o in piccoli gruppi, azioni terroristiche di forte impatto come quella condotta contro “Charlie Hedbo”. Questi profili, sottolinea ancora Batacchi, sono bene inseriti in una rete logistica e di contatti strutturata ed hanno accesso ad armi di diverso tipo od esplosivi provenienti dai mille rivoli del mercato nero che oggi si dipanano soprattutto attraverso la Libia.

Macabra simbologia e caratteristiche dell’impianto colpito: tutto si tiene nella fenomenologia dell’Isis. Ecco allora la testa di un uomo, decapitato – la pelle con iscrizioni in arabo, appesa a un’inferriata – trovata nei pressi di un impianto di produzione di gas, dove due terroristi erano sono penetrati pochi minuti prima delle dieci. “Volevano provocare un’esplosione nel sito industriale”, spiega il presidente francese François Hollande. Ma anche qui, come per la Tunisia, dietro l’attentato di oggi all’Air Products a Saint-Quentin-Fallavier, come nella strage al settimanale satirico parigino, c’è un disegno politico: scatenare la “caccia all’arabo”, rafforzando le spinte più xenofobe presenti nel corpo sociale francese. “La Francia deve armarsi di fronte al terrorismo islamico. Deve combatterlo e cacciare dal suo territorio nazionale ogni comportamento fondamentalista”, scrive in un comunicato ufficiale la presidente del Front National, Marine Le Pen. Nella stessa nota la leader dell’estrema destra sostiene che “nulla è stato fatto negli ultimi anni contro il fondamentalismo islamico” in Francia e chiede a questo proposito che vengano prese “misure ferme e forti”, tra cui chiudere le frontiere nazionali e espellere dalla Francia “tutti gli stranieri sospettati di essere dei fondamentalisti”. L’obiettivo del “Califfo” è stato raggiunto: è il tanto peggio tanto meglio in versione jihadista.

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Il Direttore Giuseppe Bartolucci

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