Esecuzione d’Artista: individuazioni remote (1)

 

“Nulla è casuale lungo lo scorrere del tempo
nulla… della sua linea in frantumi.”

(ranofornace)ranina picciina

Pierdomenico “ranofornace” ScardoviCurved Reflection 1982 (file originale)

 

scarola bacio 1 “Dentro l’armadio ho pensato ai tuoi occhi,
dentro l’armadio ho trovato uno specchio baciato.” – Idolo -1978

 

Il luogo

Tu non hai conosciuto quel luogo
per quella giovinezza audace che cercava la vita
Io parlo di quel luogo
trovo ancora stupore nel sentire
che ero aulos brinato ai venti
la foglia reclinata dell’ulivo di Boemia
gli sputi sulla criniera del mare.
Gettato nella melma della città morta
ad annaspare il gemito
tarpava l’aria dalle gelide narici
lo zirlo nel giardino dei fiori silenziosi
andavo incontro alla sorte nel triste inverno.

Ora ascolta e fuggi dalla vita trascorsa
vorrei ogni volta portarti alla luce giacente
la meraviglia inseguire ed è il suo sogno
prendere per mano la bellezza
dopo essere stata tradita in qualcosa
sussurrarmi all’orecchio
l’anthem del suo ineffabile alito.
Non avrei immaginato un solo attimo
girarmi indietro al suo volere
come solleticanti aigrettes
il suo breve afflato divorare i raggi
di una luna gridellina.

“Oh… piccola collera cerbiatta!
Alma sanguinante…
flashia nel mio tenero cuore la sua delizia.”
La carne pietrificata dei suoi piedini
suda rugiade mattinali
tinge il corpo che purge verginale
al sacrificio degli anni.
I seni protesi a Dio danzano carezze
cullano nelle maree fra gli argentei zefiri
come nivei intarsi d’arancia
spulciano amori ad libitum
nelle notti di cobalto.

Vorrei essere lì
dove esistere è lacrima
amare dove risiede la vita
il suo paniere di vivande
tutto ciò che in essa comprende
il senso il dono il riscatto
l’esistenza che svela la ragione.
Tornare e amare quel luogo
la culla di tutti i rimpianti
l’albore nascente dei simboli
la bellezza apollinea e dionisiaca
la meccanica estetica.

Vorrei essere lì
per fuggire dall’identità
dispiegare i petali
sedotti dal suo canto.
Vorrei essere lì ed è il suo volere
stringere qualcosa che attende
se il cuore trova coraggio
estirpare con un soffio
i suoni dalla sua corolla
le note spazzate via
come stagioni e cose inutili
che sono il luogo di tutte le seti.

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi 1979

nota

Questa volta mi prolungherò più del dovuto, (scusandomi) tanto per dar fede all’idea che delle stesse cose si può parlare anche in modo nuovo e diverso. La poesia in questione mi porterà a riflessioni di carattere generale seppure in maniera alquanto schematica per ovvie ragioni di contesto.

Nel 1979 i miei riflussi decadenti si univano ad una certa ricerca formale del ritmo. Nella prima strofa noto che vagano tracce di pascoliana memoria, il fatto è che non ricordo di aver mai letto a quei tempi “L’uccellino del freddo” da “I Canti di Castelvecchio”. Davvero mi sembra sorprendente l’uso similare di alcuni vocaboli in riferimento ad una immagine invernale concentrata su riferimenti acustici (evidenti rispettivamente nelle due prime strofe delle due poesie). Ma la mia strada è un’altra da quella fortemente onomatopeica intrapresa nella strofa del poeta di San Mauro, il suo rigore formale senza sbavature non è nelle qualità scrittorie del sottoscritto e che mai si sognerebbe di adottare metriche in decasillabi e rime alternate. Mentre a differenza del “Sommo”, saldamente ancorato ai valori della terra fino al punto che gli oggetti suonano, parlano, vivono, ho per riferimento come contenente sonoro, l’aria, il cielo, il vuoto, ma le cose per me fungono come metafore di un mio distacco dal mondo. La mia prima strofa a carattere prettamente metaforico, si contrappone (e scusate l’abuso di relazione) a quella strettamente metonimica del conterraneo Giovanni, anche se dallo strumento a fiato “aulos” (da: “Il Luogo”), passare alla contiguità psicologica aerea è “un istante metonimico” che rasenta la tautologia.

Il tempo si instaura in noi rendendoci dipendenti. La natura, i fatti, la casualità hanno una loro intrusione metafisica nella nostra in-coscienza. Il nostro intelletto capta le cose, intese come tutti gli oggetti e i fatti nelle loro svariate dinamiche, echi e vibrazioni,  elaborandole come percezioni,  come fatti di coscienza che sono qualità pura e non ammettono misurazione, necessitano bensì di strutture significanti portanti, in altro modo rientrando in gioco come linguaggi estensivi.

“Ci sono parole che definiscono
parole che si perdono
parole che giudicano
parole deputate al martirio.” (da: “appunti personali per una metafisica della creazione” – ranofornace 1979)

“Il luogo” dell’evento è quello dove il tempo convive con i nostri stati psichici e si struttura come un linguaggio (inteso nell’accezione più vasta), non esiste se non come elaboratore del senso nel formato del nostro sentire e neppure come una linearità di attimi conseguenti che sprigionano movimento come la successione di fotogrammi di un’azione in una sequenza filmica. La dimensione spazio-tempo, espressa già nelle sue categorie fisiche dalla teoria einsteiniana sembra ormai certa non esistere alla luce delle scoperte quantistiche, se non altro è ridotta a qualcosa di molto piccolo. In fondo anche le ore, i minuti e per quanto mi riguarda, i secondi, sono la misura percettiva del tempo in cui è racchiuso tutto il senso della nostra vita. Una qualità di tempo pressoché inesistente, perché non verificabile se non in un  altro tempo, quello della memoria, del flusso creativo e della fruizione simbolica dell’arte (il senso che assume nella coscienza). L’assimilazione è insita nel resoconto temporale dell’operato artistico (la proprietà di trattenere/sprigionare significati in base alla tipologia oggettuale, materiale/immateriale).

Pensiamo di essere come lucciole intermittenti dentro ad un buio, non solo, ma anche dentro la materia. Non sapremmo mai dove siamo, quale sia la traiettoria del nostro viaggio e il punto spaziale preciso dove la nostra in-coscienza accende la sua luce, ma noi “siamo” comunque, anche nel momento in cui la torcia della nostra intuitività non sonda i fatti che l’intelligenza incontra lungo il suo cammino. Viene a mancare il tempo come lettura uniforme e continua della successione dei fatti, delle azioni a noi riguardanti, nella stessa identica quantità e consecutività del tempo trascorso. Signori, ciò che si nota in questa faccenda è la natura del pensiero creativo legato agli stati psichici che non è quello scientifico, ma quello che tenta di svincolarsi dalle ganasce delle leggi della fisica e della matematica. Una natura intellettiva che fa parte della creazione universale è implicita nell’arte, capace di ridefinire le condizioni fisiche dello spazio-tempo in condizioni percettive in quanto queste necessitano di una qualità fondamentale come la spinta intuitiva comandata dagli stati psichici dell’artista. La creazione universale è in grado di captare e organizzare le ragioni misteriose che regolano il suo extra-naturale addensamento. (un grazie va ai pensieri di Henri Bergson che incontrano e illuminano le mie innate sensazioni).

“Mai l’arte si dimensionerà al pensiero scientifico
la sua germinazione mai sarà circoscritta allo spazio/tempo.
È qualcosa di veramente Superiore…sfugge
a questo pensare della materia e dell’anti materia,
alla significanza, alla bellezza, alla realtà naturale –
è lo spirito indimostrabile e inesauribile della creazione stessa di cui fa parte.”
(da: “appunti personali per una metafisica della creazione” – ranofornace 1979)

Concludo scomodando Wilhelm von Humbolt e cioè che “ogni comprensione è anche una incomprensione, la perfetta comunione dei contenuti del pensiero è semplicemente fuori dalla portata delle possibilità della comunicazione umana.” Se mai questa comunione fosse possibile, per il sottoscritto è solo a livello della creazione artistica.

“Idolo” è oggetto noumenico, opera concettuale del 1978. Una mia riflessione sul mito greco di Narciso tanto caro alla poetica barocca seicentesca. “Narciso” specchiandosi nelle acque del fiume forse non si amava ma si cercava. Trovarsi, significa anche unire qualcosa di noi stessi a qualcosa di altro. E questo appartenere dell’io alla presenza /assenza dell’altro, pone la rifrazione come bilanciamento della coscienza del sé La scatola chiudendosi non ha luce per riflettere al suo interno un qualcosa che di fatto è come il buio. Il tema è quello della virtualità creativa, citato nell'”irrealizzato diverso” (link), del buio che avvolge le cose che sembrano non esistere.

“Curved Reflection”, “Riflesso Curvo” del 1982, continua il discorso homemade lo-fi, fa parte come i precedenti brani pubblicati nelle “esecuzioni d’artista”, di una serie di visitazioni spazio-emozionali di natura psichedelica no-droga, dove per me il rumore è eco di note in fuga, rintocchi sonori che evidenziano uno spazio aperto, tutt’altro che inquinato da invalicabili e insopportabili muri. Gli anni ’80 erano tempi in cui il revival psichedelico era sentito ancora come colpo di coda di una fuga dalla realtà e non come  è andato poi a tramutarsi in alienazione nichilista. Solito sistema compositivo realizzato in tre esecuzioni strumentali non preparate unite da due sovra incisioni. Improvvisazione e composizione si uniscono a produrre un risultato formale aiutato da passaggi bluesy. La “festa sonora” è ancora qui per me una celebrazione al mito dell’evanescenza psichedelica, una dilatazione percettiva dei sensi di cui il mio io ha estremo bisogno. Pierdomenico Scardovi (chitarre elettriche, basso, batteria, voce).

sasso nello stagno “Il valore dell’arte non è negoziabile se non nella sua spendibilità storica” (ranofornace)

 

 

rano 2

Grazie dell’attenzione.

Pierdomenico Scardovi


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