Esecuzione d’Artista: modi creativi (2)

 

“Guardare all’arte da una sola visuale è come leggere la realtà da una sola angolazione.”
ranofornaceranina picciina

dome passam 2“Se specchiare il buio dei miei occhi fosse luce…” – Faro – 2015

 

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi- Liquid Air -1982 (file originale)

 

Volo

E scorsi l’ombra sul mare avulsa
al vento di Mistral
trasmigrare al volo l’anima
dai canapeschi Dei e idoli di Shigir.

Iridescente alla vista delle sue ali
compiere picchi volteggianti
è là!… che arde la fauce palpitante
sul vagare nella radura in fiore.

Ubiquista dalla ragione frantumata
gorgoglia dalla piccola coscienza
l’insolente melassa
per donarla in carne ai porci di Moloch.

Flautano fragili riflessi
dal monogramma dei suoi pensieri
come diafane ancelle petulanti
danzano esangui ghirigori.

Rivolo turchese onda
ghiacci in sfarfallanti gemme
di vibrare stele altro non è
che il verde anello del suo tepido amore.

Argentee piogge brandiscono
l’astioso verbo dai sirenici canti
ogni dea del mare ode imperscrutabile
fantasmagoriche piroette.

Airone – bianca freccia del cielo gelido
serpe del morsicatore arso
stagna i tuoi ardori
nella vertigine del cuore!

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi 1974

 

nota

Quando l’invisibile disorienta il visibile.

“Faro” – Oggetto noumenico, è opera concettuale del 2015. Anch’essa si collega alle precedenti “Vento” (link), “Abbeveratoio” (link) e  in particolare alla madre di tutte le mie opere concettuali di specie mistica: “Cubo” (link). Ma cosa vuol dire per me fare arte concettuale in questi anni? Vuol dire soffiare sulle ceneri dell’arte per scoprire ancora senso. Vuol dire che la smaterializzazione dell’opera è un processo talmente decomposto che è in via d’estinzione. Vuol dire che l’opera è per forza di cose in altro luogo e risiede in parte fuori dal suo oggetto, vuol dire che la sua essenza prescinde con forza le qualità estetiche-sensibili del suo fardello materico e il suo significato è completamente in atto nel processo mentale dell’artista, nella sua idea generante.

Ma vogliamo spogliare l’arte di tutto il suo potenziale semantico? Di tutta la sua forza evocativa? Insomma di tutto il suo mistero rigettandola nel calderone della filosofia? Non credo sia possibile, mai l’arte si ridurrà a filosofia e mai accetterà simile riduzione. Ma attuare un processo di raffreddamento extra-individuale e anti-allusivo, assolutamente si e sono almeno sessant’anni che questo processo è in atto. Tornare però alla dimensione calda dell’opera se vogliamo tentare un approccio con le potenzialità esplicative di codici esterni ad essa, è e sarà la sfida di questo secolo. L’artista indaga sulle leggi che regolano i linguaggi (tutti i codici e tutti i segni) e li mette al servizio del proprio re-linguaggio, ma questo spesso si pone simultaneamente dentro e fuori dal suo codice (e qui sta il valore dell’opera o la sua inaddattabilità). E come chiedersi cosa significa questa o quell’altra opera, quando esse non rimandano ad un referente chiaro o univoco e soprattutto identificabile come legittimo a collegarsi alla propria oggettualità e ancor di più che il valore del significato a cui si spinge a trasmettere, sia degno e considerabile, nella scala di valori  del codice del fruitore (banalmente, non tutto  è significato o ha un significato sostenibile quando è rimandato a valori trascurabili se non a disvalori all’interno di un codice estraneo al codice dell’opera). Ma “Faro” non sa che farsene di se stesso, dell’ingombro materiale dell’oggetto, dell’apporto fotografico di cui si serve e della sua stessa immagine immanente. I suoi valori noetici-concettuali ed estetici-sensoriali vagano nella sfera del suo codice interno, inconciliabile o antagonista ad un’ipotetico codice esterno. Dopodiché l’idea s’illumina o muore nella mente di ognuno di noi.

“Psichedelia”. Una parola che racchiude un mondo di pensieri e sensazioni.

La mia tecnica chitarristica quasi hendrixiana si perde per vie aeree e subisce anche il fascino di sonorità psichedeliche Barrett-floydiane. Mantra effettistico, incedere di rumori e note spaziali, monologo metallico e lancinante, frecciate dissonanti ed echi di rintocchi di carene navali. Tutto è musica, vibrazioni che trapassano la carne e lasciano impronte nella nostra psiche. Nel 1982 oltre a conoscere perfettamente i colori di “Electric Ladyland” ero stato adescato dalla freddezza “siderale” di “The Piper At The Gates Of Dawn”.

L’atteggiamento acido, anche se non ho mai usato sostanze stupefacenti per suonare e tanto meno nella vita e psichedelicissimo della mia chitarra principale, in questa composizione si irrobustisce di materia sonora per cercare di affossare la mia inguaribile tendenza all’evanescente. Così anche la pittura e la scrittura se pur molto più mediate, sentono il bisogno di ancorarsi alla ruvidezza di un continuum materico. Il lungo brano “Liquid Air”, composto e suonato tutto da solo nel 1982, è stato eseguito sfruttando la chitarra in modo anche “poco ortodosso”, senza l’aggiunta di nessun tipo d’effetto ma con un po’ di reverbero all’ampli e con mezzi di registrazione puramente naif. Esce dalla semplice narrazione melodica per visualizzare amebe sensoriali appartenenti ad una sfera regressa, uno stato interiore appartenutomi precedentemente, rinnovando ancora una volta il tema della memoria capace di far rivivere anche emozioni legate a fatti antichi. (Pierdomenico Scardovi – chitarre elettriche, basso, batteria)

“Se la coscienza sfuma intravede la sua radice.” (ranofornace)

La poesia “Volo” scritta non ancora ventenne nel 1974, basata su l’idea di “anima” come flusso della vita e della morte e inteso come un volo, azione, nella sua accezione più ampia, più che una cosa o uno spazio. Il terreno è quello del pensiero da cui fuoriescono “canti” come “voli”. L’insieme di frammenti di pensiero che tendono sfuggire al vaglio della coscienza a differenza delle emozioni, sono sostenuti da un certo rigore formale. Riferimenti che si contraggono in ognuna di queste sette strofe a versi liberi per legarsi alla comune condizione d’impalpabilità del senso semantico. Ma com’è possibile disegnare una topografia dell’anima? Essa… “morale” o “immorale” che sia, parla e si rivela attraverso gli echi della parola.

La poesia in questione non si serve di onomatopee vere e proprie, ma ogni parola ha un suo impatto fonetico oltre che semantico, si lega ad altre parole in un magma sintattico plurisignificante che scorre in parallelo allo scorrimento melodico. Più la poesia si discosta dal suo referente primario, più sviluppa sonorità incontrollate e oltrepassa le “Colonne d’Ercole” della coscienza per evaporare nelle profondità della realtà sensibile. Così anche la psichedelia.

sasso nello stagno“La malinconia è la migliore culla della dolcezza” (rano)

rano 2

 

 

 

Grazie dell’attenzione

Pierdomenico Scardovi

 

 


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