Christian, è un grande piacere per me poter parlare con un musicista della tua qualità, ma prima di tutto non posso non far presente a chi ci legge il fatto che porti un cognome altisonante.
1) Cosa significa per te essere figlio di Giulio Capiozzo, fondatore degli “Area”, riconosciuto come il più grande batterista italiano e uno dei più importanti al mondo?
Grazie Pier del complimento ed anche per me è un piacere essere intervistato da te. Tuo nipote Daniele Scardovi, è un mio caro amico dei vecchi tempi con cui da ragazzo undicenne ho suonato rock, ti ho conosciuto tramite lui. Innanzitutto essere figlio di Giulio Capiozzo mi inorgoglisce immensamente, è sempre stato un punto di riferimento e noi eravamo un’eccezione…ti spiego, perché di solito tra padre e figlio che suonano lo stesso strumento non si respira un buon rapporto, esiste una certa competizione che ho notato tra molti mentre noi eravamo in una perfetta sintonia. Vedi, Giulio era mio babbo, il mio migliore amico, condividevamo insieme la passione per la musica e più precisamente per la batteria e ci davamo consigli a vicenda. Eravamo entrambi molto critici e anche se può sembrare assurdo, perché mio babbo aveva le sue idee molto precise, ascoltandomi riusciva a capire il mio punto di vista ( che con il tempo ha preso in seria considerazione) e a mettersi in gioco…questo l’ho sempre apprezzato perché a certi livelli questa qualità va via scemando per un forte senso di orgoglio in molti musicisti affermati e noti. Mio babbo ha inventato uno stile batteristico innovativo, l’unico in Italia e in Europa ad essere riconosciuto e studiato in molte università americane. Questo la dice lunga…
L. Sapio, Christian Capiozzo (The Dark Shadow)-Let It Shine
2)Quanto è stato importante tuo padre, tecnicamente e artisticamente nella tua formazione
strumentale?
Importantissimo. Da piccolo respiravo l’aria di casa e la musica dopo gli affetti è stata la prima cosa che circolava, la mia famiglia è stata improntata sulla figura di mio padre un musicista a tutto tondo, “24 ore su 24”, che teneva un gran numero di tamburi, piatti, batterie varie in autorimessa e iniziare a percuoterle non è stato difficile. Appena mi sono seduto sulla batteria sapevo già suonare , una cosa che ho notato anche in mio figlio Leonardo sin da quando aveva 2 anni e in mio figlio Giacomo adesso che ne ha 6 ( che centri il dna?). Io sono nato come autodidatta, ti spiego meglio, quando mio babbo partiva per i concerti io sgattaiolavo in garage e suonavo sopra ai dischi, studiavo con la musica di Miles Davis, Area, Scofield, Hendrix, Coltraine, Parker, ecc…Un giorno che era in tour nei Caraibi gli telefonai per chiedergli la batteria dato che dovevo fare un concerto con Marco Tamburini (all’epoca mio professore delle medie) e lui scoprì che mi esibivo dal vivo…avevo undici anni. Poi chiedevo in casa le nozioni di tecnica sull’impostazione e facevo lezione con lui, ma le prime volte non era semplice perché chiedendogli di insegnarmi diventava molto esigente e tante volte mi capitava di tornare in casa dal nervoso, ma dopo dieci minuti ritornavo con la grinta e occhi lucidi a riprovarci (sono un capricorno!). Lui vedeva in me un grande talento, agli inizi non capiva come facessi a ripetere dei groove che lui faceva (anche complessi, a volte in dispari) guardandolo pochi minuti e con grande disinvoltura. Era sempre presente ai miei live ed ha visto la mia crescita fino ai 23 anni essendo molto orgoglioso ( Soprattutto parlava bene di me fuori con i colleghi, mentre tra di noi doveva essere quello che mi spronava nel perfezionarmi). Lui mi diceva sempre: ”vedi Chicco, io ho inventato un mio linguaggio che tu hai assimilato e che porterai avanti come stai già facendo nel tuo modo personale…Porterai avanti il mio lavoro che diventerà nostro e farà si che la scuola Capiozzo continui…” Lui invece ha rappresentato un’attrazione fatale per me, nonostante io sia stato sempre molto orgoglioso, con l’ambizione fin dai primi momenti di costruirmi uno stile e uno spazio tutto mio, non ho mai detto e sfruttato il nome di mio padre, mi sono sempre presentato come “Chicco” e basta. Mi ha condizionato tantissimo positivamente, anzi ne vado fiero ed anche ora che non è più tra noi.
3)Come definisci tuo padre come batterista e che differenza c’è tra te e lui a livello stilistico?
Mio padre Giulio, lo definisco un batterista completo, uno che sapeva fare jazz che va oltre al jazz, negli Area prima e poi da solo lo ha dimostrato, capisci? Intendo dire che era in possesso di una tecnica espressiva pregevolissima al pari dei più grandi batteristi del mondo ( lui era uno di quelli!) americani compresi e non scherzo, anzi fin da subito in America gli “addetti al lavoro” se ne erano accorti ed era molto richiesto. La differenza fra me e lui , ma come posso spiegartelo? Io ho la mia personalità che non ho mai smesso di curare, ma tutto è partito dai suoi consigli e ascoltando il suo modo di suonare la batteria; ora ci accomuna però una certa ricchezza timbrica e ritmica ed anche una certa imprevedibilità. La cosa che mi ha sempre sbalordito di mio babbo va oltre la tecnica che rimane un elemento di secondo rilievo per me, mentre per molti è la prima cosa che guardano, come se fare musica sia una gara da circo! Giulio aveva un modo di accompagnare qualsiasi tipo di musica con un groove “ ROTONDO”, c’era respiro, c’era elasticità e non era mai in tensione, riuscendo a dialogare con i solisti in modo da saper trascinare il veicolo musica in un momento magico che ti faceva pensare …ancora oggi siamo tutti quanti lì ad ascoltarlo per capire il suo pensiero musicale. Io ho visto musicisti mediocri suonare vicino a lui e per magia si trasformavano in bravi. Era lui che trascinava gli altri. Oggi anche riascoltando il gruppo “Area Reunion” nei concerti non si sente più quella magia, non succede più niente di sbalorditivo, non c’è più il motore giusto! Quelli erano musicisti che per fare quella musica erano nati per suonare insieme!
4)Cosa sono stati per te gli “Area” e quale segno artistico ti hanno lasciato?
Pier, gli “Area” come sai sono stati definiti ormai dalla critica, il più grande gruppo italiano degli anni ’70 e uno dei più importanti a livello europeo e non per niente. Musicisti e pubblico esperto in genere, è concorde nel definirli degli autentici innovatori, niente di simile si era sentito prima in Italia in quegli anni. Loro mi hanno lasciato il messaggio che solo lavorando sodo con umiltà, si può raggiungere determinati risultati e mio padre in special modo mi ha insegnato che senza dedizione, senza impegno ed anche senza sofferenza non è possibile arrivare da nessuna parte dando per scontato l’entusiasmo e il piacere di fare musica. Cioè fare grande musica e suonare assieme a grandi musicisti.
Mecco, Mimma Pisto, D. Santimone, Christian Capiozzo-Flyin’Like A Butterfly
5)Come sintetizzi lo stile degli “Area”?
Ho letto la tua recensione riguardo gli “Area” (link) e ti ringrazio della passione che mostri nel racconto e nella descrizione. Mi piace il tuo modo di approcciarti all’analisi critica e la passione che metti a raccontare i fenomeni musicali con riferimenti storici e appunti tecnici, penso che chi ti legge se ne accorga subito, ma ti ripeto che loro non vanno considerati un gruppo “progressive”; non attingevano dalla musica classica e poco e niente da quella psichedelica, loro erano al di là di tutto, erano lontanissimi dallo stile proveniente dalla musica classica dei Genesis, Emerson Lake & Palmer, Yes o dei King Crimson, ecc.. Non erano un gruppo “progressive”. perchè “Area” è nata dalla voglia di sperimentare la propria arte senza compromessi. Mio babbo fu il motore di quell’esperienza, fu lui l’artefice di tutto, insieme a Demetrio Stratos, Patrick Djivas e Leandro Gaeteano, stavano 16 ore a suonare tutti i giorni per otto mesi. Poi l’ingresso di Johnni Lambizzi e Busnello; nacquero le prime composizioni ( i brani di Arbeit Macht Frei) ed i primi tour da spalla ai Nucleus, Gentle Giant e Rod Stewart. Una musica contaminata da jazz, musica etnica e dall’improvvisazione, ma molto ricca di componenti, con delle idee avanti rispetto i tempi. Paolo Tofani poi portò anche le sonorità rock e psichedeliche. Mio padre suonava i tempi dispari con una libertà mentale molto difficile da imitare, era imprevedibile e la sua componente batteristica portava il gruppo in una fase dove c’era fiducia e grande rispetto, perché anche per molti musicisti è più semplice avere un batterista che svolga il compitino e che sia a disposizione del solista…lui non era così in quel progetto, perché se lo sentiva suo e quindi proponeva un modo libero di esprimersi, che fungeva da scintilla ( in parte) di quel gruppo. Pensa che nei tanti concerti che hanno fatto da spalla a questi gruppi che ti ho citato ed altri, molti di loro sono rimasti sbalorditi nel sentire quei “ragazzi italiani” suonare in quel modo. Spero che oggi la gente si renda conto di quanta ricchezza musicale e di quanta tecnica erano dotati gli “Area”.
6)Non pensi che la stagione del “progressive”, in qualche modo abbia dettato i suoi stilemi nell’azione creativa degli “Area”? Come ad esempio una certa impostazione alla narrazione del fraseggio musicale rock-jazz, intendo dire in tutta quella mutazione e complessità strutturale.
Adesso ti dico la verità, gli “Area” non ascoltavano i gruppi progressive dell’epoca, anzi a mio babbo e compagni stavano stretti. Era un discorso che a loro non interessava, stimavano Frank Zappa ma erano su altre visioni musicali. Il jazz per esempio, che contiene in sé una complessità incredibile di stacchi, temi, fraseggi, cambi di ritmo, tempi diversificati e articolati fra loro. Mio padre mi diceva che l’apertura mentale è la prima condizione di un artista, la prima vera condizione della ricerca personale ed anche dentro al gruppo, con questo ho detto tutto. Il jazz americano, perché quello era, ed è il riferimento importantissimo nella musica moderna, è stato il vero punto di partenza per decollare verso direzioni incredibili. Tanto per citarne alcuni: -John Coltraine, Miles Davis, Don Ellis, musica bulgara ed etnica. Noi siamo di origine turca, poi Demetrio Stratos era greco, ma riscoprì dopo con gli “Area” le sue radici, Lambizzi era italo – ungherese, Djivas francese, Busnello belga…ecco perché si chiamavano “International Group”.
7)Quali sono stati i punti di riferimento musicale degli “Area” e in special modo di Demetrio Stratos e Giulio Capiozzo?
Demetrio Stratos proveniva dal blues, dal rock & roll e beat … Agli inizi gli piacevano Little Richard, Jerry Lee Lewis, Elvis, Otis Redding, lui dopo approdò nei “Ribelli” e approfondì il mondo soul della Staxs e Motown ( per me “I Ribelli” sono stati il più grande gruppo soul italiano degli anni ‘60, avevano quel linguaggio che era fatto di ricerca e credibilità nello stile. Se un musicista ascolta gli “Area”… “i Ribelli” non li calcola nemmeno mentre io si, oggi che suono tra tante cose anche il soul e funk e ho registrato in America nel “progetto insieme a Luca Sapio” con la crema del soul americano. Ho suonato con i Dapt Kings, Charles Braddley, Thomas Brenneck (produttore e arrangiatore di Amy Winehouse, tanto per citarne una) 2 dischi. So bene che amando quel genere non è facile farlo e che ci vuole un amore sincero che ho riscoperto stando insieme al mio grande amico Luca Sapio…Stratos poi incominciò la sua ricerca con il gruppo “Area” e si avvicinò a Leon Thomas (grande cantante jazz imparando gli yodel e la sua tecnica d’improvvisazione) per poi sfociare nelle ricerche di tecniche Tibetane e della Mongolia, fino a fare una ricerca sul limite del linguaggio.. Di base Stratos rimane un cantante unico! Giulio invece veniva dal funk, rhythem & blues, jazz.. ascoltava e suonava James Brown, Blood Sweet and Tears, John Coltraine, Miles Davis, per poi approdare al mondo etnico.. Jack De Jonhette , Tony Williams, Art Blackey, Kenny Clarke, Elvin Jones, Philly JO Jones, Max Roach, questi erano i suoi batteristi preferiti. Però era molto attratto dalla cultura africana del Ghana e indiana, fece studi e progetti con Trilock Gurtu tanto per citarne uno etno-jazz.
8)Prendendo in esame il loro primo album del 1973 “Arbeit Macht Frei”, è da considerarsi un album jazz-rock a tout-court o è qualcosa di più?
Gli “Area” sono partiti subito con le idee molto chiare e hanno espresso buona parte del loro stile con “Arbeit Macht Frei” e visto che tu lo menzioni nella tua recensione, giustamente come un grande album, ma non l’unico ti dico. Arbeit.. è musica innovativa che si avvale del jazz, ma dove si possono sentire i primi tempi dispari portati in Italia da mio babbo che aveva studiato per otto mesi al Cairo…Arbeit.. nasce dalla prima formazione degli “Area”, parlo delle composizioni e molto lavoro compositivo fu di Johnny Lambizzi anche se ognuno di loro rimaneggiò il tutto e ci fu un lavoro totale, però molte melodie erano le sue. Per esempio il riff di Luglio Agosto Settembre… era di mio babbo… non essendo nessuno iscritto alla SIAE, nel disco non compaiono come autori ma bensì Terzo Fariselli, il babbo di Patrizio che scrisse invece la celebre “Romagna e il Sangiovese”! Ecco perché quell’album è differente da tutti gli altri, c’era una componente diversa di organico compositivo. Per me “Caution Radiation Area” e “1978 gli Dei se ne vanno, gli arrabbiati restano!” sono due altrettanti capolavori… A me comunque piacciono tutti!!!
Tirincanti, Peruc, Carta, Christian Capiozzo-I’ll Kick Your Ass
9)Scusa la mia insistenza, ma quanto è stata importante la cultura “progressive”** come forma musicale più complessa rispetto alla psichedelica e al pop, in questo disco?
Pier, ti ripeto “Arbeit Macht Frei” è un grande disco, idee nate da mesi e mesi di prove, dove è stato colto il meglio per comporre, se lo ha contagiato è forse indirettamente. Il “progressive” come lo intendo io non centra, forse altri oggi il termine lo intendono in modo più vasto e quindi molti attegiamenti musicali possono rientrare nella sua definizione. Arbeit.. è andato molto più lontano del “progressive” tipo Emerson e compagnia bella. Il disco come poi tutti quelli venuti dopo, è ricco di creatività che viene dal jazz soprattutto e anche dal rock e dalla musica etnica con una forza espressiva nuova, basata sul’improvvisazione.
10) Tanto per far comprendere chi ci legge, puoi elencare i maggiori musicisti con cui tuo padre ha suonato?
Dexter Gordon, George Cables, George Coleman, Gary Bartz, Jimmy Owens, Stan Getz, Red Mitchell, Clarke Terry, Miles Davis, Elvin Jones, Nana Vasconcelo, Trilock Gurtu, John Scofield, Steve Turre, Howard Jhonson, Jaco Pastorius, ecc…
11)Tu invece, non desidereresti fondare un gruppo definito e stabile, invece di fare la spola tra Italia e Stati Uniti e resto del mondo?
Io ho sempre creduto nei gruppi ed infatti ho sempre portato avanti progetti originali , due tra i più noti “Capiozzo & Mecco”, che esiste dal 2001 ed ancora oggi è un progetto vivo ( abbiamo inciso “Whiskey a Go-Go” nel 2003, musicato “Sex & The City”, molte pubblicità e sigle televisive.. tra l’altro nel disco e nella band c’era anche Mario Biondi … poi abbiamo musicato 2 film “La Banda del Brasiliano” e “Quell’Estate del ’78”, oltre ad aver suonato in importanti festival. Inoltre abbiamo ampliato le collaborazioni con artisti americani come Jimmy Owens, che ci ha scelto come line-up stabile per i suoi tour in Europa e con il quale abbiamo registrato l’album “Peaceful Walking” edito in tutto il mondo ed anche album italiani con Luca Sapio.
Purtroppo in Italia mancano i musicisti che vogliono fare un progetto stabile con prove e fatica, ho trovato molti musicisti bravi ma con poca elasticità mentale per potersi mettere in gioco sulle vedute musicali di un collettivo, oggi i cantanti vogliono fare i frontman e vivono di una certa insofferenza di dover primeggiare sul gruppo. Questo porta a vedere una sola visione monolitica della propria musica; mi spiego meglio, non vogliono sudare per arrivare ad un risultato lungo, di rimaneggiamenti sul materiale composto e quello che diventerà il risultato finale.
Allora ho preferito portare avanti il mio lavoro di ricerca e avvalermi di musicisti che mi stimolano di continuo. Poi c’è il discorso Italia che oggi non offre molto purtroppo, sono fermamente convinto che se gli “Area” fossero nati oggi non avrebbero fatto “successo” e non avrebbero nemmeno inciso un disco. Il mercato dell’epoca dava spazio alla musica suonata e non solo cantata, c’erano le radio libere, esistevano circuiti o perlomeno il pubblico era interessato e stimolato.. non dico che fosse facile per loro all’epoca, ma oggi sarebbe impossibile. Questo di certo non mi scoraggia e vado avanti per la mia strada. Un’altra cosa che non reggo è la presunzione di certi musicisti dell’epoca che parlano dei giovani musicisti di oggi dicendo che si siedono e non vanno avanti, ma soprattutto innalzando dei miti tramite i media…ecco io sono un antimitologico e credo che i miti siano dei muri che innalzati fermano la creatività e non danno spazi. E troppo facile etichettare qualcuno dovendolo accostare a tizio e caio, ma in questo modo fermano l’evoluzione artistica.
12) Cos’è importante secondo te per fare grande musica?
Pier, premettendo che occorre avere delle idee da esprimere, devi essere in possesso di molte acquisizioni tecniche ed esercitarle continuamente, comprendi?
Certo! Ma spiegalo a chi ci legge. È come parlare o scrivere, se conosci solo poche lettere puoi comporre un numero limitato di vocaboli, così anche nello strumento musicale. Ma grande tecnica senza grandi idee o viceversa, non porta molto lontano.
13) Christian che musica fai e quali sono i musicisti più importanti con cui hai suonato e dove?
Io premetto che sono un musicista aperto a 360°.
Amo la musica totale. Suono jazz, soul, funk, blues,…faccio prima a dirti cosa non suonerò mai: “il liscio”! Non è una musica che mi appartiene, ma riconosco che fatta da persone che la amano veramente, nelle occasioni in cui mi sono trovato casualmente ad ascoltarla ho sentito del cuore che io non riuscirei a trasmettere a livello di phatos.
Ho suonato con tantissimi musicisti : Enrico Rava, Jimmy Owens, Bruce Forman, Gigi Cifarelli, Fabrizio Bosso,Trilock Gurtu, Pee Wee Ellis ( sax di James Brown), Randy Bernsen, Thomas Brenneck, Marco Tamburini, ecc… ho suonato nel “Blue Note” di New York fino a Novokuznieck jazz festival in Siberia.
14) Quale eredità artistica e umana di tuo padre conservi per il tuo futuro?
Mio padre mi ha insegnato soprattutto il rispetto e la considerazione, una certa disponibilità e umiltà nei confronti di tutti. E penso che mi abbia lasciato qualcosa del suo talento nel mio DNA, lascio comunque agli altri giudicare. Per il futuro? Questo fa parte un po’ del destino di ognuno di noi, cosa possiamo sapere del futuro? Suonare, suonare e suonare… avendo ben presente che non si è mai arrivati. Pier, un’altra cosa spero mi preservi il futuro, conoscere persone e condividere esperienze umane e artistiche.
Christian, concludo ringraziandoti per la tua gentile disponibilità, rammento a chi ci ha letto che tu da ragazzino insieme a mio nipote Daniele Scardovi, da quando suonavate Hendrix e Led Zeppelin di strada ne hai fatta eccome! E il cognome che porti con il suo DNA, ha contributo a spingerti così in avanti… solo aver suonato al “Blue Note” di New York è motivo di grande soddisfazione; come si suol dire, “la classe non è acqua” ed esprimo ancora qui, stima e ammirazione per la splendida persona che sei.
Grazie Christian e auguri per la tua carriera.
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