Esecuzione d’artista: Quando l’arte genera arte

 

“L’alito di Dio è Il timore del nulla
il punto esatto dove fermare l’ansia del sapere.”
Ranofornaceranina picciina

dome mano aperta 2“… e attesi sera, al canto degli uccelli.” – Abbeveratoio – 2015

 

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi-Pequod-1980 (file originale)

 

Manifesto

Il mio cuore idrico
Il mio cervello elettrico
Nel farsi obliquo
Della routine
Energia – Tempo – Produzione
In piano inclinato
Nella tensione vitale
Del giorno e poi
In filamenti creativi
Al sentimento del nuovo
Che morsica
Il Bello

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi 1977

nota

“Abbeveratoio”, opera noumenica, è un mio lavoro concettuale, resoconto di riflessioni sul linguaggio artistico, della sua attuale implosione al cospetto della scala iconica nell’immagine fotografica (intesa come documentazione). L’arte ha assunto all’interno del codice dimensioni paradossali, nella valutazione delle sue componenti presenti (verosimiglianti in questo caso), rispetto quelle assenti; un disequilibrio non soppesabile a livello del significante, ma sufficiente a disorientare la coerenza di un’unità semantica. Ed è questa assenza ormai a lei necessaria, insita nella sua parte significante, ad assumere i connotati dell’inesprimibile in cui si racchiude il suo futuro, per farle attingere energia adeguata a dirigerla verso nuove direzioni e profondità simboliche.

Chi ricorderà “Cubo”, la mia opera del 1977, citata nel mio intervento – Musica Senza: “Cubo” in onore a “Passatopresente” – qui su belligea news, (link) avvertirà la connessione con “Abbeveratoio” nel senso che tutte due le opere girano attorno ad un significante che non è presente e di fatto diviene il referente o l’opera stessa, una mancanza che libera contenuti ed è questa “mancanza ad essere” presente, il fulcro del problema, il suo fascino irresistibile che esercita sull’artista.

“Manifesto”, scritta nel 1977, è una poesia giovanile propedeutica, momento di consapevolezza e raffreddamento di pensiero. Tipo di costrutto “autoriflettente” sul ruolo dell’artista nei confronti della sua stessa ragione esistenziale.

“Pequod” – la nave dei folli – (Pierdomenico “ranofornace” Scardovi – chitarra elettrica, basso, batteria, voce), è un brano di beefheartiana memoria, composto senza studi preliminari, lasciato immutato dalla sua prima e spontanea esecuzione. Il titolo preso dal nome della nave del capitano Akhab del celebre romanzo di Herman Melville “Moby Dick”, è stato composto nel 1980 sulla linea melodica di “Quindici Uomini sulla Cassa del Morto” e la risata su cui si basa gran parte del brano la dice lunga su quale registro esso si pone… Ricordo che “Quindici Uomini sulla Cassa del Morto” (Dead Man’s Chest) è un canto piratesco apparso originariamente solo in forma scritta nel romanzo “L’isola del Tesoro” di Robert Louis Stevenson e in seguito musicato. Il testo in lingua originale inglese dice:

« Quindici uomini sulla cassa del morto
io-ho-ho, e una bottiglia di rum!
la bottiglia e il demonio han pensato al resto
io-ho-ho, e una bottiglia di rum! »

rano 2

Le tre opere sono state qui combinate per il loro comune carattere ironico o disincantato nei confronti di ciò che comunemente si vorrebbe ridurre l’arte e cioè: “rappresentazione della bellezza naturale della natura”, il ché significa qualcosa che non ha bisogno di mediazione, mentre invece l’arte da molto tempo parla soprattutto di sé e della “bellezza filosofica” senza assuefarsi nella filosofia.

Grazie dell’attenzione

Pierdomenico Scardovi


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