Robert Wyatt: Rock Bottom

 

dome seppia“Oh, grande geometrica verticale…

un raggio di luce ha trafitto

il freddo contenuto del buio

l’anima – appunto!”

ranofornace

 

 

Robert Wyatt-Sea Song

wyatt foto inizio receCi sono musicisti immensi, capaci di comporre, concertare agglomerati musicali sbalorditivi e inverosimili, musicisti geniali e dotatissimi, ma ci sono musicisti fuori dalle orbite, capaci di setacciare attraverso la musica la quintessenza dell’anima, aprire le sue palpebre per essere svelata. Mai come Robert Wyatt o pochi altri, sono riusciti a rendere palpabile qualcosa d’indefinibile e immenso, qualcosa che appartiene a ciascuno di noi o forse a nessuno, “la mistica metafisica dell’indicibile bellezza”, che ha la “fortuna” di scorrere nella sua musica, come dalle falle carnali sgorga il sangue della vita.

wyatt batteriaRobert Wyatt è stato il fondatore dei Soft Machine e dei Matching Mole, le basi della sua personale ricerca furono edificate con i “Wild Flowers” e già in “Soft Machine 1 / 2”, l’idea di un cosmo musicale proveniente dalla febbre psichedelica, alternativo al rock-jazz, aveva gettato le sue fondamenta nelle escursioni visionarie e nei costrutti di follia dadaista di Daevid Allen. Sorretta dalla cosiddetta “patafisica”, una corrente artistica basata sull’ironia e sull’assurdo che si proponeva di criticare e mettere in discussione le coordinate del mondo, la filosofia del gruppo produceva un’alternativa musicale riconducibile a nessun genere specifico. Ma i canoni razionalistici di  Mike Ratledge e Hugh Hopper dei successivi album, aveva messo ordine e linearità. Infatti “Soft Machine Third” del 1970, aveva tracciato i confini di uno stile più consapevole e ordinato, ma anche operato una frattura insanabile dovuta all’inserimento nel doppio album di un brano come “Moon In June” firmato Wyatt, una lunga suite immaginifica, free-form, che contrastava nettamente per concezione coi precetti costitutivi di un rinnovamento musicale imposto dal gruppo. Ma il brano di Wyatt rivelava doti compositive non comuni, espresse poi nel suo primo lavoro solistico patafisico, considerato all’unanimità un capolavoro “The End Of An Ear” del 1970,  dove i suoni e in primis tutta la percussività, acquistano la dimensione di uno spazio armonico alternativo al free-jazz-fusion, che lo costrinse ad abbandonare definitivamente i Soft Machine dopo il “Volume 4”, l’anno dopo.

wyatt 1Robert Wyatt è stato ed è un musicista antidogmatico per definizione, la sua capacità di selezionare armonie e  suoni senza riferimenti espliciti, non ha eguali nella storia della “musica rock”, dopo l’uscita dai Soft Machine alla fine del ’71 fondò i “Matching Mole” altro gruppo storico della scena di Canterbury, con il tastierista Dave Sinclair, il chitarrista Phil Miller e il bassista Bill MacCormick.

Alla scienza (musicale) del cerebralismo jazzistico dei Soft Machine di Elton Dean, Wyatt oppose quella delle soluzioni immaginarie dell’Ordine della Gran Giduglia, una specie di “flusso di coscienza” elaborato e rielaborato dopo un’accurata e ostinata sperimentazione, una combinazione creativa di elementi musicali che scorrendo, vanno in rapporto intimistico di causa ed effetto con il fulcro dell’interiorità, insomma, una “sintassi dell’anima”. Questa sua ricerca si accelerò in coincidenza della sua sventura fisica che lo costrinse sulla la sedia a rotelle e ad abbandonare la batteria; ma la versatilità del musicista, capace di suonare da sempre innumerevoli strumenti premiò l’arte con il regalo più bello che la musica “progressive” e niente di tutto questo potesse desiderare, la sua opera magna, “Rock Bottom” del 1974.

Amici, parliamo di un monumento artistico che si colloca tra i vertici della musica del XX secolo!

wyatt cover“Rock Bottom” è un capolavoro di rara bellezza, un frutto proibito per molti e per altri incomprensibile, ma quando il genio oppone alla ricerca formale della musica in genere, la selezione e la combinazione della tavolozza sonora in un modo così immensamente limpido ed essenziale, significa che Wyatt ha attraversato con le sue stesse gambe “alate”, il fiume che separa la realtà dall’infinito. Questo privilegio è una retribuzione esclusiva dovuta all’artista ed alla sua sfortunata vicenda terrena. Qualcuno avrebbe da obiettare asserendo che il “capolavoro assoluto”, necessita di complessità tecnica e ricchezza di contenuto, perchè più è vasto lo studio della “materia artistica”, più sono messe in pratica le capacità tecniche, più si allarga l’orizzonte della conoscenza e della realizzazione estetica. Noi diciamo invece che da questo fondo di verità emerge un dato incontrovertibile che è la sensibilità del musicista e la grandezza della sua anima che vogliono esprimersi al di fuori (se non al di sopra e qui intravedo l’aspetto metafisico della sua opera sul suo acclamato aspetto patafisico) delle regole estetiche, non per un semplice bisogno ma per creare, come tutte le cose sono state create non dal nulla, perchè il nulla non genera, ma da qualcosa che è e gli è stata data, dall’anima appunto!

Robert Wyatt-Alifib

wyatt 2L’anima per un artista, è come un “filtro di verità” senza temperatura, essa guida la coscienza dove confluiscono tutte le percezioni e sentimenti, restituendoli con gli stessi principi della creazione, quando essa parla, “crea” attraverso i mezzi e le forme più consone. Wyatt traduce la sua esperienza di uomo e d’artista nel modo migliore, offrendoci questo lavoro di raffinata concezione musicale. “Rock Bottom” non indica necessariamente una nuova estetica in quanto accettata subito all’unanimità, anche se ne avrebbe le carte e neppure non rientrando in nessun “genere” istituirne un altro, ma è opera a sé, funzionale sopratutto alla ricerca formale e spirituale del suo autore. L’unicità del lavoro di Wyatt, sta appunto nel suo “registro dimensionale” e nella sua sfuggente collocazione musicale. “Rock Bottom”, nasce sicuramente dall’esperienze canterburyane precedenti che hanno sfruttato la psichedelia, il jazz, il rock, il progressive, senza appartenere a nessuno di questi generi, ma specificamente è possibile rintracciare in esso due componenti, quella melodico-sentimentale di “Moon In June” di “Soft Machine Third” e il vocalismo patafisico di “Las Vegas Tango” di “End Of An Ear”, quindi occorre spogliarsi di pretese aprioristiche e aspettative personali nell’affrontare l’ascolto e necessita di una paziente predisposizione, altrimenti meglio lasciar perdere.

Robert Wyatt (tastiere, voce, percussioni occasionali – b.2-3, tamburo –  b.1-3-4, chitarra slide – b.2, piccola batteria – b.6), firma, suona le tastiere e canta tutti i sei brani, con lui: Mike Oldfield (chitarra –  b.6), Gary Windo (clarinetto basso – b.5), Ivor Cutler (voce – b.3-6, concertina – b.6), Alfreda Benge (voce – b.5), Mongezi Feza (tromba – b.3), Fred Frith (viola – b.6), Hugh Hopper (basso – b.2-4-5), Richard Sinclair (basso – b.1-3-6), Laurie Allan (batteria – b.2-6).

wyatt vecchioLo stile canterburyano passa inequivocabilmente per la  geniale elaborazione formale di “Rock Bottom”, che rappresenta la forma più esplicita dell’universo parallelo di Robert Wyatt.

Apre La stupenda “Sea Song”, un oceano di sentimenti sofferti e  suggestioni amorose espresse  dalle tastiere in mano al suo autore. La melodia del canto, cullato fra il lento incedere (delle onde) di fievoli rintocchi temporali, apre ad un orizzonte scenico sinistro e ineluttabile, di voci sireniche e di tenere effusioni vocalistiche del nostro “eroe”, che pian piano discende nelle profondità dell’essere. “A Last Straw” percorre la linea tracciata da “Las Vegas Tango” ma con una maggiore compattezza strutturale dovuta all’accordo tra piano, basso e batteria, non nelle premesse contenutistiche che si rivelano volte alla disintegrazione delle certezze. “Little Red Riding Hood Hit The Road”, svela una realtà che incombe sull’ansia d’assoluto, un binario di sonorità incompatibili scorre su due livelli differenti di profondità psichica; da una parte la superficie della ritmica e dell’armonia, dall’altra le tastiere e la tromba che profondono alla dissolvenza, si stringono attorno al lamento di un Wyatt “ferito”. “Alifib”, il nomignolo dato alla moglie Alfreda Benge, è per me la cosa più bella e assoluta che un uomo possa dedicare all’amore per una donna: “passione, desolazione, dolcezza, tragedia, estasi, follia“, tutto questo è in  “Alifib”, un capolavoro di verità esistenziale, battuto dal tempo (un accorgimento tecnico geniale) di un respiro copioso e pesante che alimenta i battiti di un “cuore sofferente”, su una linea melodica catartica e rassegnata. L’incertezza di “Alife”, un capolavoro incredibile, è il secondo atto di una saga amorosa intrisa di amaro e sospesa nel delirio; le tastiere esprimono drammaticità su un clarinetto nevrotico e insinuante su cui si stampa il soliloquio farneticante di Wyatt, accompagnato da “sussurri e grida” strumentistiche. La marcetta di “Little Red Robin Hood Hit The Road”, inquadra solo apparentemente il viaggio lacerante fra i presagi di un cromatismo sonoro che smorza ogni possibile velleità risolutiva. La tromba, il mellotron e la chitarra di Mike Oldfield, costruiscono un muro invalicabile, che separa tutto il mondo interiore di Wyatt dalla vita, il marasma epico-religioso termina nella viola e nella voce di Ivor Cutler, che “benedice” ieraticamente l’inesorabile destino umano e spirituale del nostro, lasciandoci un ultimo lancinante e ironico stridulo.

“E le lacrime dell’usignolo accecato, cadono copiose all’interno, nel fondo del suo mirabile oceano…” questo è Rock Bottom.

La storia ha decretato la sua incontrovertibile verità, incensando Robert Wyatt come uno dei più grandi artisti del XX secolo. Noi e chi dalla disattenzione della vita convulsa, ha saputo per un attimo soffermarsi… ha colto la purezza, la profondità e l’originalità di questa opera d’arte. Concludo dicendo che la “bellezza profonda” non è solo una forza naturale che sovrasta improvvisamente le nostre difese fruitive, ma una lenta conquista dell’uomo che supera gli “affascinantii” concetti della natura, per approdare a quelli del pensiero artistico.

Robert Wyatt-Alife

rano 2valutaz.***** (con lode)

Pierdomenico Scardovi

 


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