Mai, come in questo periodo, a Bellaria Igea Marina affiorano spontanee critiche sull’intervento di riqualificazione messo in atto dall’amministrazione al porto canale lato Igea.
Forse è il segno di un cambiamento di rotta nella coscienza collettiva, intenta a prendere le distanze da Ceccarelli e C., ormai giunti, molto ingloriosamente, a fine mandato.
Sta di fatto che sono tante le voci di dissenso (e non solo di chi siede all’opposizione) verso questo investimento di oltre 1.500.000 euro, per un’opera di abbellimento che lascia più d’una perplessità, per tutta una serie di ragioni che ora, per l’ennesima volta, proviamo ad elencare.
Innanzitutto la mancata elaborazione di un progetto unitario dell’intera asta fluviale dalla via Ravenna al mare. A nostro avviso sarebbe stato opportuno, in quanto avrebbe permesso di contemplare in modo organico il recupero e la valorizzazione dei vari ambiti che insistono ed interagiscono col fiume. Questo per sviluppare logiche di ricucitura del tessuto urbano con la città, riorganizzando funzioni e mobilità.
Secondariamente, sarebbe stato saggio non limitare l’intervento sostanzialmente ad opere superficiali di arredo (per giunta molto opinabili) sul lato Igea, non sapendo cosa si andrà a fare o si potrà fare sul lato Bellaria. Il tutto avrebbe impedito di ritrovarsi con un’immagine asimmetrica di un porto canale che rischia di rimanere monco.
Ora non intendiamo scendere nel merito di un intervento che parla da sé, con la sua fitta presenza di telai che occludono la vista del canale o le pavimentazioni in legno, o le fioriere o le luci. Siamo disposti a confrontarci, questo sì; ma non a scendere cosi in basso in polemiche da lavandaia. Riteniamo che l’architettura sia qualcosa di ben più elevato della banale installazione di pali decontestualizzati e privi di qualsiasi riferimento al dialogo con il resto, o al semplice rifacimento di una pavimentazione.
Ciò che manca nel porto, come è mancato purtroppo in tutti i fallimentari interventi di questa amministrazione, è sempre stato un “progetto” degno di definirsi tale dal punto di vista architettonico. Ovvero la definizione di un obiettivo concettuale dove, attraverso l’arte dell’architettura, si riesca ad esplicitare il carattere del luogo su cui si è chiamati ad intervenire. Riteniamo si debbano evidenziare le peculiarità del contesto, mettendo in risalto segni storici visibili ed evocando tracce di memoria, per arrivare a configurare una forma compiuta di senso dello spazio fisico in cui si interviene.
Di tutto questo non c’è traccia, né sul porto, né tanto meno negli imbarazzanti – per non dire disgustosi – progetti, quali il mercato ittico (ora un’anonima baracca desolata), o nell’inqualificabile restyling di piazza Matteotti, imbrattata con strisce di vernice e una selva di pali vaganti, poi rimossi. Per non parlare del nuovo asilo Ferrarin, che altro non è che la scatola del mercato ittico ruotata.
Ciò che lascia sgomenti in tutto questo, è il vuoto di conoscenza da parte dei nostri amministratori e dei loro tecnici di fiducia, incaricati all’architettura e ai requisiti che la strutturano, che hanno come terreno la cultura della vita e il valore della bellezza.
Concetti forse un po’ troppo alti per chi, in questi anni, amministrativamente, si è occupato e preoccupato solo di comunicazione e non di realizzazione. Il progetto per l’intervento di sistemazione del porto lato Igea, serve per ospitare qualche concerto, non a costruire, come si sarebbe dovuto, una centralità urbana capace di saldare le due parti del paese.
P.s. Non pretendiamo dar lezioni di architettura a nessuno, specialmente a chi non può, e non vuole capire, ma altresì vogliamo far notare che nel rendering c’erano le montagne… che nella realizzazione non riusciamo a vedere… Forse la megaprogettista, architetto Stefania Tognoloni, non aveva calcolato bene i problemi di trasporto? Siamo delusi; le montagne sarebbero state la vera innovazione!
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