In questi giorni la città sembra avvolta da una nube di follia che si abbatte sull’arenile ed esonda oltre i confini comunali.
Mentre in tutte le località limitrofe e non della costa italiana, si stanno preparando per affrontare la stagione 2017, a Bellaria Igea Marina si sta ragionando su cosa demolire sull’arenile. Situazione paradossale per non dire folle. Ora andiamo per ordine e cerchiamo, una volta per tutte, di configurare la realtà con distacco e raziocinio.
Non si capisce perché in tutta Italia solo il Comune di Bellaria Igea Marina si ritrova in questo pastrocchio. Non si capisce il perché in tutta Italia, in attesa che venga risolta dal governo centrale la questione della direttiva Bolkestein, solo a Bellaria Igea Marina l’Amministrazione non ha voluto rinnovare le concessioni equiparando la proroga del demanio comunale a quello marittimo. Un atto che avrebbe potuto compiere, ma non si è volutamente fatto.
Da anni molti operatori balneari (bagnini e chioschisti) che hanno i loro servizi sul demanio comunale, vanno avanti con deroghe e autorizzazioni temporanee. Ora sembra che questo non sia più possibile. La prima domanda è perché? A fronte di un periodo transitorio in corso a livello nazionale, in attesa che il Governo definisca una soluzione per tutte le spiagge italiane, perché Bellaria Igea Marina non può attendere? Perché non si proroga a livello locale, quando a livello nazionale questo avviene a fronte di un congruo periodo di transizione che consenta di definire i regimi concessori?
Il secondo quesito, di natura esclusivamente riflessiva, riguarda la realtà fisica propria del nostro arenile.
Come tutti gli arenili italiani è stato antropizzato con piccoli manufatti (cabine e chioschi) dagli anni ’50 sino ai primi anni ’70. Piccole strutture che venivano installate su un ambito, come quello dell’arenile, estraneo agli strumenti urbanistici del territorio, estraneo all’attenzione della paesaggistica (sorta dopo il 1985), estraneo ad ogni forma di legislazione che possa definirsi urbana. Cabine e chioschi, che hanno permesso di far vivere ai vacanzieri il mare ed affermare il fenomeno turistico balneare, ora sono divenuti l’oggetto dello scandalo nazionale.
Strutture, frutto d’investimenti compiuti a spese dei privati, concessionari che hanno assunto il rischio d’impresa ed è proprio in virtù delle loro attività private che ora la spiaggia di Bellaria Igea Marina, come buona parte del patrimonio cittadino, gode di un valore economico. Un sistema economico a gestione famigliare identico a quello degli altri comuni della costa romagnola e di altre simili realtà italiane. Un sistema, quello balneare, strutturato, prima della Bolkestein, su regole quale il diritto d’insistenza del concessionario in essere. Ma c’è un altra riflessione che rende ancora il tutto più assurdo e paradossale, ovvero le presunte irregolarità dei manufatti che sarebbero oggetto di abusi edilizi e violerebbero la possibilità di rinnovo della concessione.
Ora che si debba sentir parlare di abusi edilizi inerenti una cabina o la pavimentazione di una pedana e cose simili fa un po’ sorridere. La situazione dell’arenile di Bellaria Igea Marina è cosi da oltre 50 anni, e non si è mai stati capaci di dare seguito, non solo ad un processo di regolarizzazione dello stato di fatto, ma neppure a un progetto di riqualificazione degno di questo nome.
Sembra che adesso l’arenile di Bellaria Igea Marina sia l’emblema della devastazione ecologica-paesaggistica ambientale di tutta la riviera romagnola, espressione di una cementificazione selvaggia che ha deteriorato la costa e compromesso il futuro alle generazioni a venire.
In una regione quale l’Emilia-Romagna, che dal 1986 al 2006 ha di fatto cementificato a tal punto e in modo tanto selvaggio da raddoppiare il proprio quantitativo di volumi edilizi, è stata costruita una seconda regione come insediamenti.
A Bellaria Igea Marina, dopo oltre mezzo secolo di cementificazione che ha aggredito, violentato e deturpato il territorio sino all’inverosimile sotto gli occhi e la complicità di tutti, ora l’oggetto dello scandalo sono quattro cabine e qualche pedana in prossimità dell’arenile? Tutto il resto del patrimonio edificato sul territorio di della città, non solo risulterebbe in regola, ma è anche espressione di una sensibilità paesaggistica ed ambientale degna di essere portata come esempio nelle riviste architettoniche.
Patrimonio territoriale ed urbano meritevole di tutela dall’Unesco come la Val d’Orcia, in virtù dell’alta qualità architettonica espressa dal 1956 ad oggi. Unico neo: l’arenile. Qualora bagnini e chioschisti fossero costretti a demolire i manufatti oggetto di devastazione paesaggistica territoriale, suggeriamo all’Amministrazione comunale, che ha ottenuto qualche anno fa per Bellaria Igea Marina il titolo di città, di richiedere anche il titolo di Città d’Arte, alla pari di Venezia e Firenze.
Oggi chiediamo ufficialmente al Governo Centrale lo stato di calamità politica per manifesta incapacità amministrativa dell’attuale gestione.
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