Lo stagno di ranofornace: “Logos”

 

“Ciò che l’intuizione raggiunge il pensiero lo smentisce, é la sua radice tagliata, il frutto. E non ho altro proposito che coglierne il senso.” (ranofornace)ranina picciina

Pierdomenico Scardovi – Canto  – 1983 (file originale)

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(di ranofornace) 2005

Ascoltare, è il dono più grande che possiamo fare a noi stessi, e non vi è pretesa verso gli altri se non quella di considerare un ideale riscatto come la prova della nostra buona fede. Accentrare la tensione nella parola, nel discorso, è uno dei tentativi della poesia di appropriarsi della significanza, perché possano affiorare le sue origini e le sue finalità, ovvero, l’essenziale momento dello spirito, il grado della sua estensione e saturazione sulla cognizione del reale. In fondo è il “Logos”, quello che il cristianesimo individua nella seconda persona della Trinità, il Verbo, o la proiezione speculare della totalità generante, e per tutta la cultura occidentale “la conoscenza”.

“Logos”, una delle parole più complesse di tutta la storia occidentale, si è sottoposta nel corso dei secoli ad innumerevoli interpretazioni, ora è qui prelevata a giustificare la complicità tra ragione e spirito per servire la realtà filosofica dell’arte. Per Martin Heidegger la poesia è l’essenza dell’arte, colei che instaura la verità, nel triplice  significato del donarefondare e iniziare. (il linguaggio fa dono di sé, fonda l’esserci a prescindere dall’ente o cosa concreta, inizia all’apertura col mondo).

La varietà interpretativa del discorso poetico non può minare l’ente assoluto della poesia, che rimane comunque immutabile, insito è inafferrabile nella sua staticità metafisica. Insomma la verità dell’arte è verità, e come tale viene colta dall’uomo nella parziale considerazione della riducibilità del linguaggio che ha il compito principale di manifestarla e conservarla. La poesia nella sua forma più pura, è chiamata fin dalla nascita e nel suo sviluppo storico a questo difficile compito, anche dall’interno dello stesso processo creativo a cui non può sfuggire per riconoscersi nel farsi largo tra il buio dell’inespresso. Qui si rinnova il quesito della “formalizzazione” e della “lettura” del testo poetico, che unendo le varianti disciplinari come registro analitico e interpretativo, apre “sentieri segnici” illuminanti e inaspettati alla sua comprensione ontica, e mi permetto di aggiungere: “è in grado di trafiggere la realtà del mondo a prescindere dalla sua concretezza, per collegarsi al senso ontologico del senza tempo o tempo totale”.

Per Martin Heidegger, il “Logos”, nel suo profondo e più antico significato rimanda al fare tesoro di ciò che viene detto e quindi al cercare, trovare ed elaborare i segni di una verità incontrovertibile, delle sue finalità, nelle quali le cose del mondo le siano immancabilmente complici. Per il sottoscritto è la coscienza, quella flebile luce confusa nel disordinato andamento della realtà a subire i tratti del cinismo, della sordità e della malvagità e farne punto di confronto, non senza conseguenze, con la forza svincolante dello spirito. Ciò che in età moderna si pone tra il “nichilismo” e il “valore”, orienta le premesse e le finalità delle azioni umane.  E’ la bellezza nella sua più completa e totale individuazione a dirigere il discernimento, la distinzione e la qualità della realtà sensibile, ad elevare la sua percezione e convogliarla sulla strada della sapienza, dello spirito e della cultura, per mezzo di tutte le arti, dell’intuizione artistica e della poesia, senza confonderla col fine  affrettato del mero piacere, ma come processo di combinazione e selezione delle forme e dei loro contenuti volti a testimoniare il “giusto che sia”, cioè l’essenza dell’arte.

“Sono millenni che l’arte tenta di persuadere gli uomini su “un qualcosa” nel quale il pensiero lo mette in dubbio fino al punto di negarlo, è “la verità insita nel significato, che cosa sia, come si manifesta, come la si identifica e quali siano i contorni della sua comprensione”, e ci riesce anche con la logica delle sue proposizioni. Ma gli artisti non demordono, sono degli eterni combattenti e scudieri di una causa persa in partenza,  inseguono le ombre sfuggevoli e dissolventi di una presenza-assenza misteriosa, di un qualcosa che non ha nome e non altro che la sua sostanza. Questo vale come motivazione per le arti visive e per l’arte della parola poetica. Anche la musica,  partendo dal territorio primigenio della fonesi e dell’acustica universale, procede dall’alto del suo culturale sviluppo su vertici inafferrabili ed esclusivi della gamma combinatoria dell’armonia e della melodia naturale, non ammette contraddittori teorici, né confronti moralistici o limiti estetici. Convince i sensi e costringe il pensiero all’umiltà, a rendersi conto dei suoi limiti, del non potere sovrapporsi ad essa come svisceramento degli atomi sonori, per cogliere quel “nulla” da cui continuamente si separa. Così, ancora una volta è Lei, la regina indiscussa e indissolubile della conoscenza umana, quel tipo di conoscenza che allarga gli orizzonti delle sinapsi percettive verso la lettura intuitiva e simbolica di questo “esistente nulla”, (che di fatto non c’è), dove significante/significato coincidono, proprio perché operano nell’assenza totale del loro referente, inteso quest’ultimo come entità linguistica e cosa riferibile e separata da essi, bensì l’ente separato ed estratto di “un qualcosa” che non ha nome e non è altro che se stesso.” (ranofornace)

relics-2014“Relics” 2014

“Ma quale buio ha preso il posto della vita quando si guarda indietro? Sono chiazze, spacchi  che hanno corrotto il tempo nel fondo piatto della coscienza annichilita. Fatti ed esperienze sui percorsi di un tempo dissolto, negati al tempo della costruzione, al tempo delle essenze. La poesia subisce questa cancellazione nella parte captativa della parola, come un atto di colmare il senso, piuttosto intenzionale che accidentale.” (ranofornace 1979)

La poesia “Logos” (1983) tiene conto del rapporto fra spirito e ragione, è una poesia generata dalle ceneri della materia vissuta, nell’ascolto dei “dialoghi” segreti, nel coinvolgimento  dei rapporti  “arbitrari” stabiliti dalle cose, viste come strascichi mnemonici sulla strada dell’immutabile percorrenza del poeta. Tratta la ricerca originaria, la motivazione e la giustificazione del proprio sentire.

 

Logos (ascoltare)

 

All’alba un nuovo sole tra le foglie bisbiglia

nel silenzio delle cose che aspettano

apre indifese le loro mani

alla tepida vita.

Sul davanzale l’humus farfallesco della notte  

sfebbra nella rugiada le trasudate voci.

Portati dai venti che dal mare raggirano la casa

alle mura dei cocci di vetro incastonati

vortici di sabbia permeano i battenti

graffiano sulle gelide labbra la preghiera

che la morte ha sfiorato.

Andarsene… poi tornare

quando i rami ondeggiano spietati sui vetri

la luce incunea dalla porta degli occhi

sdruccioli righi d’argento.

 

Ascolta…

Tutto si ferma come a ricominciare

l’anima dimentica la felicità

si dirige pigramente verso nuovi pianti

a covare nel nido della tristezza

la lisca smunta della compassione.

Distolta dalla cloaca della barbarie

tra gli anfratti del cielo si confonde

sfreccia senza posa 

la carezza tagliente della vita che fugge.

E’ là… appunto! che fare

se i nembi sul fronte dei tamerici  

richiamano un lieve dubbio di violetto?  

L’anima del poeta allora migra

a respirare il mattino di un nuovo sole.  

 

Al risveglio il canto degli uccelli

smembra il contuso salmastro del mare. 

Gli oleandri nella penombra

sporgono dalle olle gli odorosi petali 

sui gambi setati dei gerani.

Solerti calci danno via fra le erbette

ai saltelli frinenti dei grilli  

nugoli d’insetti sgranano le zolle

schiocchi di fruste zampillanti

scuotono lo sguardo perso

sugli aranciati azzurrini dell’orizzonte.

Come pulviscolo trafitto dal rosone

salgono le gemme alla volta absidale del cielo  

per scrutare il mare dolce e crudele

schiuso nel ceruleo frangimento del mattino.   

 

E’ la bellezza… la sola a richiamare

l’esistenza di un mondo nuovo

brucia perdutamente nella carne del poeta.

Vorrei portarla alla luce giacente

in un coro di imponenti scintille

vederla sgorgare a rivoli dalle falle carnali

e sorridere tra le livide mani della morte.

E non ci sarà un’altra opportunità

che restare incantati nell’inganno di quell’istante.

E’ l’ansia di un bimbo nascosto dietro le dune

per non sentirla arrivare

perché lei non possa derubarlo dei suoi sogni.

E’ la curva dell’arcobaleno scolpita a riva

col gesto innocuo di un rametto

sull’acqua bionda di un mattino di maggio.

 

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi 1983

 

“Canto” (1983), è una preghiera, un’invocazione, una lode e un pianto, testimonia come l’intuizione nella musica a volte possa avere del miracoloso nel guidare il corso armonico-melodico, sostituendosi con la medesima compiutezza alla complessità della composizione mediata. Questo lungo fraseggio, improvvisato in tutte le sue parti si intreccia con i plausibili timori, fra il cantato mai pensato e mai provato precedentemente, sulla base armonica degli accordi, su cui si inseriscono le note di controcanto della chitarra. Scorre ed evolve come una narrazione (letteraria o “progressive”) con sorprendente lucidità e convinzione compositiva, il tutto senza pentimenti, nell’unica e immediata esecuzione mai più riveduta. “Canto” , non so se si comprende la questione, nasce spontaneo, non vi è nessuna mediazione, se non di esprimere seduta stante l’automaticità del flusso melodico. Per il controllo compositivo rimane ancora oggi il paradigma di punta del mio procedere creativo. Pierdomenico Scardovi (chitarra elettrica, voce, batteria)

“La vera cultura migliora l’uomo, lo porta all’arricchimento dello spirito e nient’altro. Dovremmo essere tutti d’accordo cosa sia lo spirito. L’incorporea unione dell’astratto col sensibile, lungi da servilismi e discriminazioni se non di elevare la dimensione individuale a rapportarsi con l’universale a colmarne i suoi limiti per espanderli, ed ogni dato, ogni conoscenza, ogni esperienza, dovrebbe andare a culminare in questo senso. La pretenziosità di relegare l’errore di traiettoria al solo giudizio morale, senza apertura alla comprensione, alla motivazione delle ragioni, sono l’esatto contrario dell’elevazione allo spirito, riportano la coscienza lontano dai suoi potenziali limiti, e pone il sentire nella parzialità fuorviante dell’inautentico.” (ranofornace)

rano 2 Grazie dell’attenzione

Pierdomenico Scardovi

foto in evidenza “Diaframma” (di Serena Scardovi)


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