Lo stagno di ranofornace: “Il cimitero di Arlecchino”

 

” Quante parole sono ospitate in un pensiero e quanti pensieri sono ospiti di una sola parola?” (ranofornace)ranina picciina

Pierdomenico Scardovi-I Love Your Escape (Amo il tuo fuggire) 1977 (file originale)

“Non andartene amore

non fuggire dal sogno

in una luna vibrante

sarà la mia… molto lontano

sarai mia.”

titanica impresa 1998Titanica impresa (storia di una poesia affondata) 1998

Una visione spettrale del mondo è comunque inevitabile. L’incapacità della mente di cogliere la complessità stratiforme della materia dal suo aspetto epidermico, come una diretta conseguenza di categorie, quali furono teorizzate da Aristotele, fa si che la lente della scienza ha frantumato inevitabilmente il senso della realtà che ci appare multiforme e sezionata. Siamo tutti d’accordo che la fisica, la chimica, la biologia, le scienze mediche, ecc., operano sui fenomeni, nella contestualità della loro specifica area d’indagine conoscitiva, elaborando le scoperte nel verso dello sviluppo tecnico e delle sue possibilità applicative. Guai se così non fosse… il tentare la nobilissima impresa di risolvere tutti i quesiti e le problematiche che si presentano al cospetto  dell’esistenza umana, è stata nell’idea di unitarietà, una prerogativa di tutta la metafisica fino alla “morente” filosofia. Il paradosso della ricerca analitica ne ha mostrato al contempo, l’altezza e i limiti.

Ciò che è pensabile della realtà attraverso l’appiglio dei sensi, non è presente nella sua interezza e non è altro che il prodotto di un’operazione effettuata per mezzo di un codice (qualunque esso sia) che la mostra differita e trasformata. Il diaframma tra significante e significato è il punto cruciale della separazione tra esperienza diretta e il tentativo di assimilarla nella sua interezza. La parola scritta, la tessitura artigianale dell’immagine, il segnale televisivo, la riproduzione sonora, ecc., vestono la sostanza che non è presente di fatto. Essa  avvolge la dinamica dei linguaggi nella condizione trascorsa e dislocata della realtà. Ma la sostanza della realtà si annuncia nella temporalità della creazione artistica, negli aminoacidi percettivi e intuitivi e muore in coincidenza della  nascita dell’oggetto, del supporto, del segno. Il prodotto del processo creativo, di fatto non è la sostanza della verità, ma il tentativo di possederla, in un tutt’uno con l’esperienza intuitiva e contingente dell’artista, già avvenuta prima, nella sua dinamica generatrice. (vedi al paragrafo: “su questa…” link)

L’oggetto immanente così come si presenta, è il contenente di un microsecondo di presenza della sostanza della realtà; il vestito di un corpo iniziato a morire altrove e che tende per sua natura, a riordinarsi fuori dal contesto linguistico-artistico. Insomma, l’aspetto illusorio e assenteista dell’esistenza si rispecchia “didascalicamente” e “tautologicamente” nei linguaggi extra-artistici e si “mostra” per poco più di un soffio, in quelli estetici-creativi. Se la verità è il “riempimento del senso”, attraverso la ricerca del “principio e della causa” del fenomeno, l’opera d’arte tenta in sé la via  della coincidenza, nella pretesa netta, appariscente, immanente e diretta, che l’assenza del senso, possa essere convogliata interamente nel restringimento del  cono d’ombra della sua forma artistica. Si assiste in questo modo al compimento del paradosso per il fatto che l’opera d’arte ne coglie principalmente il suo aspetto eidetico nell’opera finita (il significante) e il suo aspetto ontologico nella gestazione (il significato). Buona parte della responsabilità del frazionamento di base, insito nella ricerca della verità fenomenica della realtà, è da attribuire alla moderna ricerca scientifica dei fenomeni linguistici, che ha stabilito la dualità (riprendendo Aristotele) come uno dei fondamenti della conoscenza, partendo dalla scoperta principale della riducibilità a due forme fondamentali e inscindibili che strutturano il pensiero umano compiuto, ritrovabili anche nei processi inventivi dell’arte: – l’asse verticale della selezione  dal codice (asse metaforico o dei significati) e l’asse orizzontale della combinazione degli elementi selezionati (asse metonimico o dei significanti). (vedi al paragrafo: “I fondamenti della linguistica…” link)

Solo attraverso il confondimento del confine fra ciò che una cosa è / da qualcos’altro, si stabilisce un contatto palpabile con la verità che ci preme.  La linea di demarcazione netta che solitamente intercorre nella rappresentazione di ciò che è rappresentato. prolunga l’agonia di quest’ultimo, ma non evita il suo processo di morte iniziato antecedentemente; ovvero la sostanza d’esistenza che ci preme.  E’ sulla “ambiguità riempitiva” della funzione estetica che l’artista concentra il suo sforzo, volgendo lo sguardo su quella situazione indefinibile di sfumatura dei contorni fra significante e significato coinvolgendo nel contesto della materialità del linguaggio artistico, artifizi di natura eterogenea e apparentemente aliena al grado di pertinenza del linguaggio stesso, utilizzato.

L’oggetto artistico (il significante) nella sua presenza sensoriale, tenta di nascondere e storpiare la direzionalità univoca e subitanea alla cosa riferita (significato); o meglio, si dirige alla cosa riferita adottando una strada non strettamente pertinente al codice, o più precisamente, inserisce elementi di novità non convenzionalmente codificati o di regole di codici estranei o addirittura incomprensibili all’artista stesso. Accade là dove non se lo può permettere la razionalità del linguaggio filosofico. Solo così, e solo nell’arte, l’uomo può cogliere il sapore e l’incorporazione fisico-percettiva, seppure parziale, della verità metafisica della cosa. In quella tensione al tutt’uno e coincidente, dell’essere della cosa in sé con l’essere della cosa visibile, udibile, pronunciabile, ecc, inglobata nella conseguenza realizzativa e riferibile all’opera come “prodotto escrementizio”. Chiudo qui la mia stringata parentesi tecnica, rendendomi conto della delicatezza della questione. Aggiungo infine che non è possibile uscire dalla metafisica universale, neppure criticandola con qualsivoglia mezzo di indagine e condizione della ragione. Solo l’arte, nella sua funzione eroica si addossa il debito di questa insolubilità linguistica. Ponendovi un piede fuori, disorienta le categorie dello spazio e del tempo riferite alla verità ontologica definita nel linguaggio pensato: “calpesta cioè, l’esaustività del senso con il senso fuoriuscente della propria ricerca.” (ranofornace 1979) (vedi al paragrafo: “Ho deciso…” link)

7_Fotor_CollageLa posizione del senso (…) – 1978

Il cimitero di Arlecchino

Un cielo di stelle che non ha più strade
si specchia nell’edera più supina.
Scende la falena sul drappo della notte
qualcuno depone qualcuno butta alla rinfusa
nei lanceolati della vasta radura
il lepido polline del suo flebile passaggio.

Foglia dei venti puri – grano degli spazi verdi
lascia che l’amore sbocci nel grembo!
La libertà si annuncia fatale
lungo il fiume del ghigno bisticciano i suoi piaceri
gemono attoniti avvinghiati dalle ombre
a concupire nella grazia celeste.

I veli della tristezza posti sul crinale dei salici
sono dubbi come pianto della ragione
aspettano immutati negli alloggi delle pareti
il sorriso passito della luna.
La sua vista sotto la coltre tormenta ancor più
il cupo ardore di questo fuoco estuoso.

Salgono le mani d’onice sul capitello corinzio
l’acanto di quarzo rosa sacrifica velleità.
Non è che appartengono ad un rito mancato?
Buffi travestimenti su tavole di peltro argentino
dismentano la maschera prima del ballo
farfuglia tra coriandoli e trombe mariachi.

Suonati gli strumenti che si odono nei sogni
estratti i ritmi infusi nell’ampolla dei rumori
i colori cardano le note in sciami sfavillanti.
Rintocca sulla carena del cuore
l’eco barcamenante della coscienza
ad infrangere il silenzio di quel luogo santo.

Ho amato la versatilità della natura
delle cose il lato più superfluo e blando
puerilità bruttezza e bassezza.
La bellezza del kitsch nel suo effetto più abietto
il gusto del pettegolezzo e lo spirito beota del consenso
e la banalità. Ah… sublime la banalità!

Ho corteggiato la volgarità in ogni sua forma
svenato lacrime fino al midollo.
Mi sono nutrito dell’oscenità col riso del villano.
Assalito dai languori per la mediocrità
ho ripudiato l’intensità dei sentimenti divini
e la profondità sensitiva degli abissi.

Mi sono fidato dei riflessi
lo sdegno ne ha offuscato la lucentezza
snervato i contorni come fossero immortali.
Mi sono appellato alla sacralità della misericordia
per concedere al peccato il diritto di consolarsi.
Io incapace di odiare e invidiare il mondo dovrò ascoltare.

Questo colmo frastornante silenzio
ha il volto e il fregio della Bellezza.
La meticolosità dell’intelletto ne ha deciso i tratti
per indurmi a camminare sul mio sangue
risvegliare l’incanto che mi sfugge lontano
stramazza a terra nell’abbaglio!

Giungerà il momento della restituzione
di quell’immagine silente ho rincorso il fremito
adagiata sull’ara del suo amabile afflato
ha il profumo del prestito.
Lascerò svampire la nausea che mi appariva sublime
per accogliere il bacio di quell’immenso amore.

Aria profumata di maccheroni e lavanda
mi daresti un passaggio per tornare dove tu sei nata?
Ecco! nella discarica cullano i tuoi vagiti
scorti fra le nebbie tossiche dei calanchi.
Le bacche di dulcamara fustigano i carcami
crocchiano le mascelle suine sotto i sandalini.

Odo il vento di questa città affrettata all’efficienza
ronzarmi nei fianchi sudati
corteggiare le mosche sui mugugni di radio Malta.
Vedo dondolare tra le pale l’ombra
il tempo appiccicarsi sulla carta insetticida
fare un giro di ballo con la maitresse corvina.

Le parole avulse si agitano sotto il telo d’avorio
macchiano di rosso d’azzurro… e nero
il grado 0 di un lembo di strada.
Spigoli di clacson urtano le serrande
cigolano le corde ad requiem sulla ruota di ghironda
ammainano la maschera dentro il bianco feretro.

Quando passerai nulla trapelerà di te.
Hai capito cosa è stato vivere per un istante?
Disorientati nel caos dell’emorragico tragitto
sono tutti i tuoi pensieri in un solo sguardo
non perderlo giacché pochi lo coglieranno
e non basterà la vita e non basterà dannarsi.

È supplemento d’anima che va in aiuto e la crea
il nome della cosa portata via dalla città indolente
… non ha stele.
È l’angolo angusto e umido dove un bimbo accovacciato
sotto il tavolo ammuffito del giardino di azalee
scruta l’acquazzone in una cupa serata di primavera.

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi 1982

“Il cimitero di Arlecchino” scritta nel 1982, è costituita da 15 strofe da 6 versi liberi in stile neo-decadente e completa il trittico poetico assieme a “Paracelso era sospeso” e “I vermi di Platone” già pubblicate (linklink). Sul piano poetico è il tentativo di convogliare una molteplicità di segni e piani differenti di astrazione, in direzione di un sentire unico e riempitivo. Sulla via della confessione, tratta il tema della presenza umana, della sua immagine nel rapporto col mondo e del ruolo della bellezza come ricerca dell’identità interiore. Traccia altresì, punti di contatto con il senso morale dell’esistenza individuale, in funzione di uno sdoppiamento della coscienza. Sbalzi spaziali e temporali, memoria volontaria e involontaria della vita come esperienza della morte in atto. In questa “scena primaria” si muovono i desideri e i rimpianti del sottoscritto. Anche qui non vi sono volutamente le virgole, per invitare il lettore a inserire le proprie pause.

“I Love Your Escape” (Amo il tuo fuggire) 1977 – è una ballata folk in cui si ripetono nel ritornello, le parole riportate sopra. Pierdomenico Scardovi (chitarra acustica e voce)

“La posizione del senso” (…) 1978, opera noumenica . La sequenza fotografica, l’irregolarità del ritmo, l’immagine nel cambio d’angolo, documentano la fuoriuscita del contenuto che assume significato contingente nella variabilità della sua immagine.

sasso 1“L’arte è, che dona a tutti indistintamente; della sua bellezza, della sua audacia un po’ o tanto. A chiunque ne cerchi il piacere e il senso, trova lo specchio.” (ranofornace)

rano 2Grazie dell’attenzione.

Pierdomenico Scardovi

foto in evidenza: “fiore” di Federica Scardovi


RIPRODUZIONE VIETATA © BELLIGEANEWS.IT

su "Lo stagno di ranofornace: “Il cimitero di Arlecchino”"

Lascia un commento

il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.