GLIFOSATO E IL RITORNO AL FUTURO

Appare al Parco Panzini un avviso piuttosto inquietante.

Inquieta l’uso dell’ormai più che discusso Glifosato, le cui proprietà cancerogene ormai certe sugli animali (che non sanno leggere) e che solo importanti ragioni economiche rendono ancora dubbie sugli umani, che un particolare che fa supporre l’avvenuta presa di possesso della DeLorean del famoso film di Zemeckis “Ritorno al Futuro”.

Non si spiegherebbe altrimenti come siano riusciti a presentare la richiesta di autorizzazione in data successiva a quella della prevista irrorazione.

Appare infatti chiaro che questa sarà (o è stata?) presentata in data ancora da venire, il 27-05, mentre l’operazione avviene il 25 -05

Al 27-05, di buon’ora, andremo all’AUSL per veder comparire tra coreografici vapori la famosa vettura.

Sappiamo che questo famigerato diserbante, grazie soprattutto alla imponenza economica della multinazionale Monsanto, è ancora consentito, ma prudenza e rispetto per l’ambiente, gli animali e, anche, le persone, renderebbe saggio abolire questo prodotto senza attendere il laborioso e contrastato iter burocratico.

Se avessimo Assessori meno impegnati a farsi i “selfie“, e si occupassero seriamente della salute dei cittadini, magari questo Glifosato ce lo potevamo risparmiare.

Queste le ultimissime informazioni sul Glifosato:

La Commissione europea fa dietrofront (almeno per il momento) sulla vicenda glifosato e subisce un duro colpo sulla volontà, manifestata ancora ieri, di autorizzare per i prossimi 9 anni l’uso dell’erbicida più impiegato al mondo. Alla fine le proteste degli europei, gli appelli degli scienziati indipendenti, la voce di ambientalisti e consumatori e i dubbi di parte degli europarlamentari hanno avuto la meglio. La battaglia ovviamente non è finita ma il fronte nettamente contrario (capeggiato dalla Francia e in cui figura anche l’Italia ) ha stoppato il via libera annunciato. Ora alla Commissione rimangono due possibilità: estendere l’autorizzazione per altri sei mesi in attesa che i Paesi raggiungano un accordo o non estenderla, costringendo gli indecisi ad adottare una posizione da qui alla fine di giugno quando scadrà.

Il glifosato è un erbicida non selettivo impiegato sia su colture arboree che erbacee e aree non destinate alle colture agrarie (industriali, civili, argini, scoline, ecc.). È attualmente utilizzato in 750 prodotti per l’agricoltura: tra quelli che lo contengono come principio attivo il più noto è certamente il Roundup della Monsanto, una miniera d’oro per gli affari della multinazionale di biotecnologie agrarie. Basti pensare che secondo le stime della US Geological Survey, il consumo dell’erbicida è passato dai 67 milioni di chili del 1995 (l’anno precedente alla coltivazione dei campi Ogm) agli 826 milioni di chili del 2014, e la tendenza è quella di crescere, perché le piante infestanti sono sempre più resistenti e quindi hanno bisogno di dosi maggiori della sostanza per avere lo stesso effetto.

Il glifosato ha fatto il suo ingresso sulla scena scientifica e politica a marzo dello scorso anno quando una monografia della Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, ha revisionato tutti gli studi scientifici in materia e ha concluso classificando l’erbicida come genotossico (in grado cioè di danneggiare il Dna), sicuro cancerogeno per gli animali e probabile cancerogeno per l’uomo. Pochi mesi dopo l’Efsa ha ribaltato le conclusioni della Iarc sostenendo che è improbabile che il glifosato rappresenti un rischio cancerogeno per gli umani. Una presa di posizione che ha prestato il fianco a molte critiche che hanno a che fare, innanzitutto, con l’indipendenza degli autori che hanno firmato lo studio su cui l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare ha basato le sue conclusioni. Questo studio risulta scritto dalla Gliphosate task force, ovvero un gruppo in cui collaborano i produttori di fitofarmaci o meglio le aziende che hanno chiesto di poter vendere il glifosato nei paesi dell’Unione europea. Il rapporto tedesco (commissionato dall’Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio (Bfr) di 947 pagine consiste sostanzialmente in una serie di riassunti di studi commissionati da quelle aziende per indagare gli effetti del glifosato sulla salute.

Tra i due pareri e la decisione finale dell’esecutivo europeo, associazioni dei consumatori, organizzazioni ambientaliste, testate giornalistiche e gruppi di opinioni di ogni parte del mondo hanno passato al setaccio alimenti, oggetti di uso comune, latte materno e perfino urine alla ricerca di tracce di questo erbicida. E l’hanno trovato quasi ovunque: dal miele alla birra passando per i tamponi igienici (anche biologici) e le garze. Il Test-Salvagente ha condotto le prime e uniche analisi italiane su un campione significativo di alimenti (100 tra pasta, farina, biscotti, cereali per la colazione) e acqua potabile (26) riscontrandone la presenza in metà degli alimenti e in due casi perfino nell’acqua potabile. Insomma, conferme di quanto si sapeva già, ovvero che il glifosato è ampiamente utilizzato in tutte le fasi della coltivazione ed entra facilmente nella catena alimentare e non solo.

Il rinnovo dell’autorizzazione fortemente voluto dalla Commissione europea – e anticipato da un’assoluzione da parte di un panel di esperti della Fao e dell’Organizzazione mondiale della sanità su cui pesa l’accusa di condizionamento da parte della lobby dell’industria – ha scontentato non solo l’opinione pubblica ma anche parte del mondo scientifico che si riconosce nella necessità di garantire sempre e comunque il principio di precauzione che richiede che una sostanza sia commercializzata solo se viene accertata la sua non pericolosità per la salute dell’uomo e non il contrario. In caso di incertezza e pareri discordanti, come nel caso del glifosato, è opportuno rifiutare l’idea che i cittadini siano utilizzati come cavie in attesa di prove schiaccianti sulla pericolosità del diserbante.

“L’unica valutazione trasparente che è stata finora compiuta sul glifosato è quella della Iarc”. A contestare l’ultimo rapporto Fao/Oms che ha dato il là all’Ok europeo è Fiorella Belpoggi, Direttrice del Centro di Ricerca sul Cancro Cesare Maltoni – Istituto Ramazzini – che aderisce alla coalizione StopGlifosato e che sta conducendo uno studio proprio sull’erbicida al centro delle polemiche.

“A partire dagli anni ’70, i criteri sono sempre stati gli stessi per circa 1.000 composti valutati. Ci sono stati troppi casi in cui dalla classificazione Iarc “probabile cancerogeno” si è passati a quella di gruppo 1 “cancerogeno riconosciuto” per l’uomo solo perché, purtroppo, a distanza di tempo (anche di 10-30 anni) sono stati confermati gli effetti sull’uomo contando i morti per quella causa. Esempi di questo tipo sono fra gli altri la formaldeide e la trielina” spiega la direttrice del Ramazzini aggiungendo che è stato sbagliato sacrificare il principio di precauzione.

L’Istituto Ramazzini non è il solo a schierarsi contro il rinnovo e soprattutto contro la decisione che ha fatto da apripista. “L’Organizzazione mondiale della sanità che sconfessa se stessa è già una notizia che da sola meriterebbe le prime pagine dei giornali” afferma l’Isde, International society if doctors for the envirment spiegando che è paradossale che l’Oms giunga a una conclusione opposta rispetto a quella della Iarc che non è altro che una sua agenzia. Ma non solo. Il documento prodotto dal panel di esperti è “vuoto” nel senso che non fa cenno a nuovi studi scientifici specifici – che non si sono svolti – e non contiene nuove evidenze rispetto a quelle della monografia della Iarc. Infine – fanno sapere i Medici per l’ambiente – insistere sulla non genotossicità (in grado cioè di danneggiare il Dna) per assolvere il glifosato è una scelta discutibile in quanto è accertato che esistono sostanze cancerogene che non si sono mostrate genotissiche.


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Il Direttore Giuseppe Bartolucci

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