Genesis: Nursery Cryme

 

Dome alba 6Scacco

Scacco al Re
sui gradini della nursery
e in cima alla casa
la sua bandierina variopinta.
Le pedine – alcune fra arboscelli.
La scacchiera ad marginem
gioca coi triangoli.
Una freccia indicatrice
sostituisce la mossa di picche.
Scacco, scacco al Re.

ranofornace ranina picciina

Genesis-The Musical Box

genesis colore 2

 

Non è mai troppo tardi… non si finirà mai di osannare una pietra miliare come “Nursery Cryme”. Come ho già espresso in altra sede, il terzo album dei Genesis suscita in me un fascino incontenibile e ciò non rappresenta niente di eclatante. Infatti, tutti siamo d’accordo che si tratta di un prototipo monolitico del “progressive” storico. Ma cosa sarebbe stato il 1971,  di quelle grigie giornate, senza questa splendida fiaba? Quel tempo è stato colorato dalla ricchezza pittorica delle visioni attonite narrate da Gabriel e soci, mentre i King Crimson deviando il loro percorso, presentavano l’opera più spiazzante degli anni ’70: “Island”. Il perché sta nel fatto che “tradirono” le aspettative del pubblico e l’identità del “genere” già ben strutturato negli effetti emozionali e nelle intenzioni intellettuali; per loro, “quel mondo tolkieniano era già alle spalle”.

Genesis-For Absent Friends

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Il “progressive” è stato forse la più grande rivoluzione musicale del rock-pop avvenuta in Europa, ovvero la sua ramificazione più complessa e matura. Quello che fu poi chiamato col nome che oggi conosciamo, portò l’alterazione della coscienza psichedelica e l’anarchia dei trip fra le braccia di una musa prodigiosa, in una dimensione catartica che la trascese verso mete immaginarie che solo la letteratura può produrre. Dicevo, “Island” inaspriva e modernizzava i contenuti sonori e stilistici del “genere”, come l’approccio di tipo sinfonico, svoltando decisamente verso direzioni post-moderne, mentre i Genesis stavano percorrendo quella “fantastica” strada, magicamente tracciate e interpretata  nel 1969 “alla corte del Re Cremisi” che, dalla semina di “Trespass” (1970) nella visione genesiana, portò invece al loro secondo capolavoro “Foxtrot” nel 1972.

genesis 3“Nursery Cryme” (Charisma 1971), l’album dalla inconfondibile e inquietante copertina gialla della bambina che gioca a croquet, disegnata da Paul Whitehead è uno dei capisaldi della musica popolare del secondo ‘900. Un’opera magnifica, superlativa, generata dall’ingegno musicale di Peter Gabriel (voce, flauto, percussioni), Steve Hackett (chitarra elettrica, chitarra 12 corde), Mike Rutherford (basso, voce), Tony Banks (tastiere, mellotron, pianoforte, voce), Phil Collins (batteria, percussioni, voce).

Genesis-Seven Stones

genesis gabriel 2Apre subito l’apice del disco, “The Musical Box”, Il testo narra la storia di Henry, un bambino di 8 anni che mentre gioca a croquet con l’amichetta Cynthia, viene da questa decapitato con la mazza da gioco. Una lunga suite che contiene tutti gli ingredienti tipici del prog. Sulle note inconfondibili di un simil-liuto, il canto intimistico dalla interpretazione teatrale di Gabriel, sospeso su un tappeto aulico e classicheggiante di flauti e gocce di note arpeggiate, sboccano in galoppanti allunghi rock trainati al shynt in un andirivieni di momenti attendisti e liberatori fino a sfociare nell’apoteosi organistica di Banks e nel contrappunto cromatico dell’elettrica di Hackett, fanno del brano più importante dell’album, una rampante cavalcata sulla vetta dell’Olimpo progressivo di tutti i tempi: “è il capolavoro”. “For Absent Friends”, è un duetto tra il canto di Collins e la chitarra di Hackett per un intermezzo distensivo di matrice soft-pop. “The Return of the Giant Hogweed” è caratterizzata dall’originalità delle scelte sonore e del lavoro tastieristico di Banks nei vari cambi tematici, affiancando il jazz e la classica, queste si muovono nella marcia, nella soavità bucolica, nell’allegrezza vitalistica, nella ritmica marziale,  fino alla solennità drammatica (alla Van Der Graaf Generator) del finale; “è il capolavoro”.

genesis colore 4Sul lato b troviamo “Seven Stones”.  Il cantato disteso di Gabriel è diretto ancora dagli impegni tastieristici di Banks. Classicità organistica pronta a puntualizzare la narrazione fantastica che si estende tra le aperture idilliache di  flauti agresti e organi barocchi, sugli eterei inserimenti violinistici al mellotron fra cori mutilati da repentini cambi melodici, fino a giungere alla “citazione” finale in-volontaria dell’incipit mellotron-flautistico di “Strawberry Fields Forever”. Il trascinamento emozionale volge in direzioni rhythm-bluesy in “Harold the Barrel” cantata istrionicamente da Gabriel come un’operetta d’avanspettacolo, assecondato dai marcamenti pianistici e percussivi di Banks e Collins fino a dileguarsi in “Arlequin”, una evanescente narrazione fiabesca in chiave ballad che si ricollega alle stranezze orror-idilliache e alla struttura musicale di “The Musical Box”. Chiude la mitologica “The Fountain of Salmacis” nella completezza del suono “Genesis” diretto dagli archi del mellotron e dai cambi di registro timbrico delle tastiere di Banks, brilla come al solito il trasformista cantastorie Gabriel che si consacra (incluso Peter Hammill), il più grande interprete vocale del “progressive”, “è il capolavoro”.

Genesis-The Fountain of Salmacis

Ci sono musiche che sentono il tempo… non quelle in cui la forza e l’intensità dei loro contenuti scemano, ma quelle che a distanza di decenni, nel confronto con nuove forme, rivelano ancora di più il loro valore e le qualità intrinseche nel fascino e nel desiderio del piacere; è la maturazione della loro immortale bellezza.rano 2

Valutaz.***** con lode

Pierdomenico Scardovi


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