Lo stagno di ranofornace: “Il bianco pudore del mio dolore”

 

“Mentre vi sto parlando sono da tempo altrove… e non mi è possibile tornare tra voi se non attraverso i miei echi.”

(ranofornace)ranina picciina

 

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi-Radar Game -1982 (file originale)

presenza 1978

Presenza – 1978

 

Il bianco pudore del mio dolore

Il bianco pudore del mio dolore
è il classico gioco dell’assolutezza
a trasparire fra le righe
l’idea di una tua pagina riflessa.

Ti ho prelevata dallo spazio siderale
per poterti conoscere
se non a cercarti forse
è congedarmi da ogni tua fuga.

Potrà scendere neve da calpestare
e coprire la notte…
nel suo futile passaggio prova
la vita che ho amato sopra ogni cosa.

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi 1977

 

nota


Un percorso disseminato anche di spini renderà la fine più dolce. E’ un male, pretendere di chiudere gli occhi per vedere la vita solo come un roseo e interminabile idillio. La coscienza del tempo, i suoi lampi e le sue aperture ci mettono in guardia allorché quando apriremo le pupille non dovremo vedere apparire impreparati il bordo vertiginoso del nostro precipizio. Siamo di fronte all’ennesimo tragicomico avvertimento. Ed anche:

“Sentirsi liberi dentro un mondo di prigionie è una grande illusione, la più grande beatitudine. È inaccettabile la follia dell’uomo, i suoi crimini persistenti sul proprio simile è l’orrore totale che disgusta il senso della vita, ferisce la dignità della coscienza e oltraggia la sacralità dell’umanità intera. E quel fluire intorno a te… la tua casa, il rumore dell’auto che passa, il canto degli uccelli, il sopraggiungere della sera nella sordità del ciclo delle stagioni, fa sembrare quel tempo la realtà, la sola che si insedia al cospetto delle emozioni. Noi che amiamo nella cornice arabescata dei nostri sogni il tepore della vita nell’unicità del nostro sentire, raggeliamo… quando invasi dallo spettacolo della morte le nostre coscienze sprofondano nel baratro delle atrocità del mondo e ci fanno credere che il peso opprimente delle ingiustizie si possa barattare con la leggerezza delle nostre eteree illusioni.” (ranofornace 1977)

Troppo presto per tirare le somme…” Il laconismo pre apocalittico presente nella poesia moderna, trova spunti nel nichilismo nietzschiano, nell’illusione del reale di Schopenhauer e in quello personalistico di Kierkegaard, come una necessità di scegliere se stare dentro o fuori da questo mondo,  una scelta avvenuta da tempo che  ha convinto il sottoscritto ad abbandonare il mondo con la minima incidenza e non solo con i propri pensieri, ma anche attraverso scelte concrete. Il mondo, questo sfondo smisurato dove avvengono cose meravigliose… cose terribili, vorremmo noi tutti ridurlo ad un’idea su cui deporre  nobili sentimenti e felici aspettative. Per l’artista invece, il mondo costituisce un contesto secondario, lo spunto caotico e accessorio da elaborare come referente di dati traducibili e riportabili nella forma e nella materia. Insomma, per l’arte la realtà nel suo complesso è quello spazio sostitutivo della visione, da cui prelevare significanti concettuali e sensibili adatti alla costituzione di una nuova realtà artistica. “Io non vedo la realtà, io non vedo nulla. Vedo solo un’idea su cui si riflette e si misura la mia libertà di sopraggiungere alla nitidezza del mio “essere”; solo così  il mio rivelarmi sarà coinvolto nei rapporti fenomenici con maggiore fruttuosità, trova altresì punti illusori di condivisione e di rifiuto, di avvicinamento e di allontanamento con ciò che appare nel divenire dell’esperienza a me esterna; ma questa è già altra cosa. Io vedo bensì, solo me stesso.” (ranofornace 1974).

L’arte vive nell’aura ovattata delle proprie proposizioni, immerse nel medioevo della storia umana. Si, perché non è ancora giunta l’era che scavalcherà i conflitti. L’epoca moderna nella sua contemporaneità è ancora al suo grande assestamento e ogni proposito, ogni denuncia, risiede nei semi delle culture artistiche come “mancanza” di una realizzazione in atto; l’oggetto di questa mancanza è  una condizione intrinseca alla realtà del mondo ed è la libertà di attuare il proprio destino. Perché è nella libertà di espressione che l’uomo trova se stesso. Parte del genere umano non ha ancora fatto propria l’idea di un’evoluzione come completezza e raggiungimento di una metà. L’arte da sempre, somatizzando nello stesso momento, ingloba questa libertà e questa prigionia. Come a dire che il simbolico a cui lei accede, nasce da una dicotomia dialettica, dalla convivenza armonica/conflittuale fra sfera individuale e sfera collettiva, nello scorrere del tempo fra quiete e tragedia, fra sogno e lacerazione.

Ed ecco che l’arte vede la propria bellezza agire! Essa si interpone e sopperisce a questo duplice aspetto; vaga nella sublimazione del suo fluire come elaborazione e compimento di un desiderio dettato da bisogni profondi, camuffati e mutevoli dentro le varie culture artistiche e nell’arco della loro evoluzione storica. Infine, l’arte non potrà mai sostituire le dinamiche del mondo, perché perderebbe la sua ragione d’essere nell’intento di sfuggire al loro fagocitare; tuttalpiù potrà continuare ad affiancare la scienza, la filosofia, l’antropologia e la psicoanalisi, sconvolgendo positivamente dentro l’uomo, la perversa scala di valori preposta dalle norme sociali.  Già ora si nota e per dirla con Theodor Adorno: “Il compito attuale dell’arte è di introdurre caos nell’ordine”. (il suo “attuale” di allora è talmente illuminante, da figurare oggi come un vero e proprio “atto” di preveggenza teorica).

“Radar Games” -1982. Sono echi psichedelici di ciò che rimane delle mie trasmissioni di un alter-spazio allucinatorio. Provo  a descriverli: Suoni Morse, come frecciate lancinanti di segnali radio, aprono squarci in cieli bui e sconfinati dell’estremo mutare. Riverberi elettro-metallici reiterati, onde magnetiche trasfigurate dal mio essere altrove, perforano le barriere della monotonia terrestre e si scontrano nella vertigine profonda del cosmo sonoro. Improvvisazione strumentale di space-hard rock costituita da due sovra incisioni casalinghe. Pierdomenico Scardovi (chitarra elettrica, basso, batteria).

Presenza – 1978. Opera informale monocroma. La superficie bianca, (il colore del nulla, della morte, nelle filosofie orientali), respinge la luce, è assenza. Uno spazio atono e tridimensionale su cui ancora si organizzano forma (le due masse) e gesti umani (tagli), sorretti da una sintesi minimalista. Una prima massa (confinante col fuori) appoggia sul bordo ed una seconda appena sopra sono la zattera che accoglie l’unica testimonianza antropica ); due serie di tagli dal ritmo  flessuoso, denotano ordine (i tagli sono l’ennesimo tentativo di mandare a fondo ciò che sostiene). E questo bisogno di organizzare le proprie movenze nonostante la mancanza di uno spazio ammiccante (nel linguaggio psicoanalitico unificato, la mancanza è la ricerca del conforto materno per alleviare l’ansia della morte) è il criterio di un gioco rassicurante e contraddittorio.

“Il bianco pudore del mio dolore” – 1977. Intimità e ineluttabilità sono i sentimenti di fondo che pervadono questa breve poesia. Il tentativo di rincorrere, nei limiti di un’amara consapevolezza, il senso di verità dell’esistenza nel suo significato più alto, ovvero: l’indagine sulla qualità interiore del proprio essere e la sua natura più specifica in rapporto alla realtà delle cose avvenute e/o ipotizzate. Nel fascino inarrestabile degli eventi terreni si discioglie con discrezione l’unico tentativo di disincanto dai desideri materiali estemporanei e dal loro relativo valore che è il proprio bisogno di completezza simbolica, nella ricerca di un significato originario, attraverso la presente e costante intrusione di Dio nella vita concreta e ideale del sottoscritto.

“La vera ricchezza è il tempo della conoscenza, il tempo della vita… non esiste il ritmo, ma un disarmonico incedere del nostro essere che subisce, reagisce ai dati dell’esperienza e non altro. Tentare di vedere se stessi fra questi dati è amarsi, è salvarsi. Dunque, questo è lo scopo principale del nostro vivere.” ranofornace

rano 2sasso nello stagnoGrazie dell’attenzione.

Pierdomenico Scardovi

 

 


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