“Germina gramigna sugli asfalti
e sotto la pelle gli acidi
mangiano la carne.”
ranofornace
Edgar Broughton Band-Death Of An Electric Citizen
Prendiamo l’energia rivoltosa degli Stooges , uniamola alla stravaganza vocale e strumentistica di Captain Beefheart, urbanizziamola nelle cantine fumose dei circoli politicizzati alternativi e otteniamo l’estetica Deviants (link). Mentre in Inghilterra sta per consumarsi l’ultimo atto del gruppo di Mick Farren con “Deviants 3”, nel marasma sociale e politico in corso alla fine degli anni ’60, la linea impulsiva e indocile tracciata anni prima negli US, punta diritta alla Edgar Broughton Band nel settembre del 1969 con la loro prima opera “Wasa Wasa”.
La “Edgar Broughton Band” è stato il gruppo di punta della scena underground londinese post Deviants, sul piano politico si ponevano all’estrema sinistra e il loro suono senza compromessi, sganciato dall’edonismo piacente del gusto mainstream, è stato una maturazione di quell’esasperazione lisergica tardo psichedelica che coglieva gli aspetti alienanti e sofferenti della metropoli. Le premesse della loro musica partivano dalla posizione anticonformista dei Fugs per certi versi antesignani del punk, dalla satira sociale e sarcastica varata da Frank Zappa in “Freak Out!” nel ’66 e dal culto anti-consumistico dell’underground a cielo aperto di David Peel, il menestrello dei bassifondi newyorkesi del Lover East Side, assieme ad un gruppo di barboni in “Have A Marijuana” del ’68.
Line-Up: Edgar Broughton (chitarra, voce), Arthur Grant (basso), Steve Broughton (batteria), Victor Unitt (chitarra ), uscito poi dalla band per divergenze musicali non trova posto nel loro primo è più importante disco, quindi parliamo di un classico power-trio.
“Wasa Wasa”, è una saga eruttiva di versi, voci e blasfemie dissacranti, sorretta da suoni acidi a base rock blueseggiante di stampo chitarristico alla Jefferson Airplane, incuranti delle ricerche effettistiche della psichedelia sognate o space-pinkfloydiana, ma piuttosto subordinata allo spirito dissacrante e allucinato dei testi, interpretati dalla voce di Edgar Broughton, un “fratello minore” di Arthur Brown. Brani strutturalmente e armonicamente scarni su cui scorre il fluido insolente e degenerato della chitarra solista usata come espressione di un’agonia lisergica.
Edgar Broughton Band-Why Can’t Somebody Love Me
Il primo brano “Death Of An Electric Citizen” firmato anche da Arthur Grant, è un blues acidissimo e spietato sul modello zappa-beefheartiano, chitarre distorte con canto ringhioso e delirante. La voce del primo minuto di “American Boy Soldier” sembra estrapolata dall’alter ego di Beefheart, la parodia zappiana trova l’apice in un lento e puerile coretto alla Mothers Of Invantion, per riprendere in smorfiette vocalistiche alla Kim Fowley. Il riff “cavapelle” di “Why Can’t Somebody Love Me?” si reitera ossessivamente sotto i colpi teatrali e graffianti della voce di Edgar. La “preghiera” blues urticante e lagnosa di “Neptune”, viaggia sul lento remare dei tamburi di di Steve Broughton assecondati dal continuo “commento urticante” della chitarra “disfacarne al vetriolo” di Edgar. “Evil” riprende il canovaccio acido e distorto dei brani precedenti; il “male” si perpetra a dismisura lungo la linea enfatica della degenerazione dei sensi.
“Crying”, apre la seconda facciata con il miagolio indolente della chitarra che incoraggia gli sproloqui vocali del suo leader. “Love In The Rain”, ripropone il flusso epilettico e grottesco dellla rivolta tra sentori hendrixiani. Conclude “Dawn Crept Away”, la lunga suite teatrale alla Fugs, con riferimenti a Hendrix, Zappa e Crazy World; voci iniziali, collage no-sense, lamenti , insofferenza ed estasi orgiastica diretta da una ritmica andante trascinata da un riff elementare e smanioso, Edgar ispirato da Beefheart e A. Brown, è il vero mattatore del gruppo e nell’interpretazione fatta di cambi, di accenti enfatici vocali da commedia psych-rock.
La “Edgar Broughton Band” non ebbe mai un programma musicale vero e proprio, le loro performance erano tra l’altro un mezzo di propaganda politica, basata sull’uso esasperato del messaggio dissacrante, lungi dagli addobbi del pop-rock e dalla ricerca estetica del hard-prog. I due fratelli Broughton furono espressione non convenzionale di rock spudorato e anarcoide, estremizzando gli schemi spettacolari, fuori dalla “musica di ricerca” e fuori dall’accondiscendenza di massa. Oggi risultano all’orecchio aperto molto attraenti e interessanti, molto di più di certo tardo-prog stucchevole e pomposo, nonché al punk ecclamato e stantio di fine ’70/primi ’80. “Wasa Wasa” è un album che non deve mancare assolutamente nella discoteca di un vero cultore del “genere”.
valutaz.*****
Pierdomenico Scardovi
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