Musica Senza: Lo stagno di Ranofornace (2)

 

“Quando sul bordo dello stagno, ad un tratto mi apparve…

John Renbourn-My Johnny Was A Shoemaker Westron Wynde Scarborough Fair

 

pittura 1

“Ad Frontem” 1976

 

Pozzanghera

 

E un’acqua mentre la sera

Gioca d’asfalto

Una carta

Sotto  l’ago dormiente

Ancheggia e sporca i passi.

 

Specchiati brividi

Appollaiati

Osano

Fino all’ultima brezza

I resti confusi del tuo amore.

 

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi 1977

 

nota

La difficoltà a mantenere un livello costante d’astrazione o descrittivo, combina con le dinamiche della nostra immaginazione. La poesia “Pozzanghera”, rientra in quella serie di costrutti di “design poetico” e si avvale di figure retoriche volutamente incomplete che non finiscono di svolgere in autonomia la loro “funzione traslante”. Ciò per evitare di dirigere il lettore verso mete predefinite, bensì posizionarlo dinanzi ad un crocevia percorribile, oppure lasciarlo inerte a guardare lontano sullo sfondo, gli spazi che il poeta ha aperto. In questo caso il titolo viene in aiuto ma senza confezionare l’effetto, questo fatto è stato fondamentale nella “poesia d’avanguardia”, quello per cui le si possa dare l’appellativo di “poesia autentica”. La poesia moderna ha combattuto molto (e ci ha giocato) sulla questione  degli “effetti”, ma pensiamo alla composizione musicale che nasce comunque dal rapporto fra armonia e melodia, “non” può prescindere da queste “Colonne d’Ercole”, due costanti che appaiono più o meno presenti e fluttuanti fra esse, oppure rinnegabili separatamente “passando per altre vie”, questo per dire che gli effetti emozionali e formali della composizione qualunque essa sia, vengono “controllati” attraverso minuziose prove, usando i mezzi più consoni.

Nel caso dell’astrazione invece, gli effetti sono meno prevedibili, pensiamo alla pittura astratta che ha la sua ragione principale nel “cercare” e “trovare” ed anche nell’improvvisazione musicale e in tutte le forme di sperimentazione artistica che liberano all’origine contenuti incontrollati, si dirigono verso “confini incodificati”, non per questo esclusi ad un rientro.

Le figure retoriche quando vengono usate in modo “creativo” oltre ad “abbellire” il contenuto, aprono la strada a contenuti vari, ma in questo caso la loro incompiutezza si mescola a continui e veloci spostamenti d’immagini sfocate e sospese nel vuoto da differenti livelli d’astrazione, per cui “tutto è qualcosa che potrebbe essere qualcos’altro” che non lo è con certezza, in “un luogo che potrebbe essere anche un altro”. Ma qui sta l’origine di questa composizione, la sua misteriosa “natura creatrice” costituita da una ritmica fluttuante dei versi liberi e dalla melodia insita nella contiguità della parola, porta a condensare nel lettore imprevedibili e indefinibili emozioni poetiche.

Non ho mai pensato e osato di poter comprendere ciò che  si pone contemporaneamente per sua natura “dentro e fuori di me”, ma ho sempre cercato di focalizzare i meccanismi e i vincoli intuitivi per farne motivo d’arricchimento interiore, una sorta di piacere compensativo scaturito dall’espansione della sensibilità individuale che affoga nei meandri misteriosi dell’inconscio. Ma come si è ormai arrivati a intuire, l’inconscio è il linguaggio!

L’opera informale “Ad Frontem” è stata eseguita a 22 anni nel 1976, costituisce uno dei picchi stilistici della mia ricerca pittorica, sintesi di colore, forma e materia, obbligate da me a svolgere ostinatamente una funzione “poetica”. Non sono mai riuscito in pittura a scrollarmi totalmente di dosso un qualche rimando a qualcosa che potesse appartenermi sia come esperienza che intimamente, una rinuncia forse impossibile. “Ad Frontem” è un tributo al richiamo atavico verso “luoghi privi d’importanza”, dove l’occhio disinibito guidato da forze sconosciute, cattura rano 2e si crogiola in “forme allucinatorie”.

…rano.”

Pierdomenico Scardovi


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