Musica Senza: Lo stagno di Ranofornace (1)

John Renbourn-The Pelican

ombre 1

 

 

 

 

 

Ombre 1985

 

Eco

 

Mi sono lasciato alle spalle

Tutto.

 

Il dolce canto del mattino

Il fresco alito della sera

 

Ciò che i miei occhi

Hanno creduto di vedere

 

Il loro luogo

In ogni cosa

 

Assomigliarsi

In te.

 

Pierdomenico “ranofornace” Scardovi 1979

 

 

nota

la poesia “Eco” riprende il tema della memoria, è stata scritta da me nel 1979 per evidenziare la dicotomia fra la necessità di questa, a legarsi ad un’immagine definita e al tempo stesso constata la “fuggevolezza della parola” verso mete sconosciute. L’uso consapevole di “termini normali”, non semplifica la difficoltà di addensare il contenuto fuori da livelli astratti, ma la costruzione poetica nella sua sconcertante semplicità mette in risalto l’ambiguità del senso attraverso confini semantici sfocati che generano “parallasse” d’immagini contigue e fluttuanti profondità cognitive.

5 strofe composte da due versi liberi, per 5  livelli che occupano il tempo o lo compongono, costituiscono l’ossatura di quel condensato mnemonico che appartiene ad ognuno di noi. Sono 5 stanze o “luoghi”, ma anche 10 iniziali maiuscole per altrettante frazioni significanti,  hanno il comune denominatore di essere connesse fra loro al codice dalla nostra “tendenza unificante” e dall’artificiosità della materia linguistica messa a punto dal suo autore.

Il titolo “Eco” non è il referente, ma l’effetto di ciò che lo ha generato, è la parola chiave ausiliaria da usare all’occorrenza, un antidoto alla ritrazione della memoria a concedere i suoi spazi alla nostre divagazioni esistenziali. La poesia si riferisce invece al processo affascinante dell’esperienza che genera il pressato della nostra storia, con le sue qualità intrinseche e le sue manchevolezze riversate nel gioco presente e assente del tempo.

L’ultimo oggetto misterioso di questa poesia è il pronome personale “te”, un referente ausiliario senza identità che si addensa o sfuma davanti al “precipizio poetico”. Ma non serve “salvarsi”, né “cadere fra le braccia della certezza”, ogni tentativo fallito che sia di scoprire la “verità”, è pur sempre un atto di ricerca.

L’opera concettuale “Ombre” del 1985, nasce dalla consapevolezza del limite conoscitivo e costitutivo di ogni mezzo linguistico, essa si avvale della collaborazione di linguaggi differenti come la fotografia, la pittura, unite agli effetti immateriali ma non meno importanti della scultura e dell’architettura sullo spazio, quali le ombre, in questo caso divenute per natura e dimensione “spazio visivo”. Tutto ciò per ribadire che la realtà si attua e si svincola dal controllo totale, attraverso dimensioni e livelli attuativi infiniti e si definisce all’interno delle strutture linguistiche, non fa eccezione neppure la scienza (quando questa prenderà controllo totale potremo allora avere in mano il nostro destino) o la filosofia che prima di rivelare le sue ambizioni ontologiche è per il sottoscritto verità racchiusa pur sempre dentro i limiti del suo linguaggio, il pensiero, appunto!

rano 2Dedico questa mio lavoro editoriale all’amico e Direttore Giuseppe Bartolucci

Pierdomenico Scardovi


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