Kingdom Come / Arthur Brown: Galactic Zoo Dossier

dome punta di palata 1 014La follia è matematica pura

un differente modo d’intendere la logica.

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è un nostro problema.

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Kingdom Come-Internal Messenger

kingdom brown primo pianoLa follia ha qui le sembianze e la voce di Arthur Brown. Con doti canore e istrioniche straordinarie, avrebbe potuto interpretare la prima ipotetica rock opera della storia, dal titolo: “Elogio alla follia”.

Parlare dei Kingdom Come non è possibile senza prima dare atto degli onori ad un personaggio eccentrico e stravagante come Arthur Brown (il prete nel film “Tommy” dei Who (qui) ed è cosa interessante quanto ardita, svelarne i segreti della sua enigmatica personalità, lo ricordiamo tutti noi meno giovani, per quel fantasioso tormentone del ’68, che fu la demoniaca “Fire”, estrapolata dal lungimirante “The Crazy World Of Arthur Brown”, il grande album dell’omonimo gruppo di cui facevano parte anche Vincent Crane (organo) e Carl Palmer (batteria), due musicisti che non hanno bisogno di presentazioni, o si? Tutti e due negli Atomic Rooster, poi il secondo assieme ad Keith Emerson e Greg Lake. Arthur Brown fu all’inizio un frequentatore della scena underground londinese nel ’67 all’UFO Club, in compagnia dei Soft Machine e Pink Floyd (qui), lui che si definiva “The God Of Hellfire”, lo ricordiamo nelle sue esibizioni pirotecniche, in tenuta fluorescente, travestito e mimetizzato con in testa una torcia accesa, “pazzo” scatenato!

kingdom brown fuoco colore bellaArthur Brown fu un provocatore, un pioniere della messinscena. Personaggio camaleontico, ideatore del “corpse paint” adottato poi da Alice Cooper, Kiss e Peter Gabriel, ma sopratutto grandissimo cantante, interprete di “vocalismi tecnici” e “arrotondamenti tonali” molto assomigliante al canto di Ian Gillan, volse il suo vulcanico temperamento alla causa psichedelica. L’esperienza dei Crazy World chiusasi nel 1970, portò alla nascita dei Kingdom Come. Line-up: Arthur Brown (voce), Andy Dalby (chitarra elettrica), Desmond Fisher (basso), Julian Brown (keyboards, synth VCS3), Michael Harris (tastiere), Martin Steer (batteria), Denis Taylor (composizione, illuminazione), questa formazione portò alla pubblicazione del loro primo album nel 1971,”Galactic Zoo Dossier”.

kingdom brown colore 3 bellaL’album è un’opera magnifica, non è art-rock o progressive in senso classico, ma qualcosa di tutte due, queste definizioni a quel tempo non erano state ancora coniate ed anche se lo fossero state, quest’opera di sana follia creativa non sarebbe potuta rientrare a tout court nei canoni suddetti, dato la matrice spiccatamente rock combinata a complessi componimenti e  citazioni sui generis. Il risultato è un concept album di 14 tracce tutte unite, che filano via lisce a delineare un “discorso musicale” tessuto nelle più disparate modalità di stile e di ritmo. In questo magma totalmente controllato, primeggia la voce  del “pazzo magheggiante” Brown, ossessionato di fondere musica e teatro.

kingdom 4Lo stile adottato si sintetizza come una linea rock, che assottiglia o ispessisce la sua ragione lungo l’andamento narrativo, servendosi di approdi stilistici pescati fra i generi, come la psichedelia speace degli Hawkwind, il progressive dimensionale e teatrante dei Van Der Graaf Generator, al progressive metronomico dei Gentle Giant, al freak sgangherato di Beefheart e ampolloso di Zappa (qui), fino al free-form della poetry sonora anglosassone (Liverpool Scene) e americana (Fugs). Il suono è  equilibratamente comandato dalle tastiere di Michael Harris e dal canto superbo e “trascendente” di Arthur Brown, su tematiche cosmologiche estreme.

 

Kingdom Come-Creation+Gypsy Escape

kingdom brown pitturatoSi parte tutto d’un fiato dopo l’intro rumoristico psych, con la riffata rock di chitarra e basso molto compatta di “Internal Messenger”, un brano notevole dove si avverte immediatamente l’ottima qualità della registrazione (gli anni ’70 furono anche artefici di un’evoluzione tecnologica). L’idea di un “rock arricchito” era nelle corde del suo capo, che  vocalizza su un tappeto sobbalzante d’organo Hammond, con articolazioni strumentali e derive totalmente progressive che scivolano abbandonandosi alla quiete cullante del “mare spaziale” di “Space Plucks”, la voce ora grottesca, ora fiabesca e reverberata di Brown detta i tempi e gli spazi sonori visitati da un flebile organo e VCS 3 space. “Galactic Zoo”, è un tributo a Beefheart e Zappa, con innesti vandergraafiani, ma anche stacchi e scansioni free-form precisissimi alla “gigante gentile”, che invadono il campo “a tempo incomprensibile” in “Metal Monster”, vocalizzato al megafono. Art-progressive-rock di prima qualità, nel momento migliore del suono d’Albione, reminiscenze psichedeliche irrinunciabili, per allargare la visuale evocativa ad un genere volto al tecnicismo formale. “Simple Man”, mantiene la quiete attendista precedente, che termina sulle “orbite sgraziate” di “Night Of The Pigs”.

kingdom 1“Sunrise”, scorre come un alba nascente, sul canto sofferto e languido del suo istrionico trascinatore, un classico lento che mette in mostra per un attimo un originale giro di basso, si prolunga a dismisura mantenendo i canoni della canzone pop. “Trouble”, è una breve ballata folkeggiante alla chitarra acustica rifinita all’organo. I canti in lontananza di un coro popolaresco in “Brains”, escono di scena per far posto al piano rilassante di “Galactic Zoo (Continued)”, notevole prosecuzione di follia prog-rock, una composizione immaginifica e stralunata di autentico delirio post-psichedelico, accompagnato magistralmente da un suono maturo e ordinato, quanto privo di pregiudizi. Diverse sono le “stanze siderali” visitate, con diversi gradi di “astrazione”. “Creep”, è una jam free-form psichedelica, in perfetto stile ideologico alla Third Ear Band, dove appare l’utilizzo del theremin e un lavoro certosino multi effettato a frammentazione alla console, che interviene nel finale su un acuto agghiacciante e prolungato di Brown. Nella mini suite prog-rock di “Creation”, sono sempre i Gentle Giant a dominare la partitura, con cambi di scena e riff rotondeggianti e pieni, che si addensano d’estetizzante inquietudine; irresistibile è la performance dell’organo Hammond in “Gypsy Escape”, che ricorda i Rare Bird nell’omonimo album e un certa vena progressive di John Lord. In fine, alcuni rumori non identificati danno il via al riff chitarristico ferruginoso di “No Time”, ultimo saggio di bellezza creativa basata sulla tastiera di Michael Harris che merita elogio, Brown finisce in cattedra a intervalli lasciando spazio espressivo ai suoi, ma al ritorno del riff mostruosamente affascinante di “Internal Messenger” che chiude la porta dello zoo,  è impossibile  frenare l’entusiasmo. Esibizionismo spiazzante (nel poster) di fronte alla “crocefissione” pubblica di Brown, vero atto d’apoteotico delirio e follia teatrale.

kingdom collore 2I Kingdom Come con “Galactic Zoo Dossier” sono stati superbi esponenti di un genere che nel 1971 aveva basi consolidate, le loro sperimentazioni erano frutto di ricerche tecnicamente controllate e mature, mentre i cambi narrativi consolidati nelle opere di Genesis, King Crimson, Gentle Giant e Van Der Graaf Generator, apportavano al rock da loro espresso, risultati innovativi. Tutto ciò fin quando la “maniera”, specie nei gruppi minori, avrebbe rivelato le sue prime avvisaglie. “Con i piedi per terra e la testa fra le nuvole”, oggi resiste piacevolmente all’ascolto.

rano 2valutaz. ****(*) Pierdomenico Scardovi

 



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