The Who: My Generation

dome punta di palata 1 014“Il suo cervello elettrico

il suo cuore idrico…

Nel farsi obliquo della routine

tempo/energia/produzione

affogò la rabbia.

All’alba poi, fu subito mod”

ranofornace

 

The Who-Out In The Street

Mod è distinzione, appartenenza, rivolta.

who stemmawho stemma jpgLa ribellione intro-snob della cultura mod, attraversò la società londinese e oltre come strale disgregante, un fendente  ripetutosi poi in forma opposta col fenomeno punk. La filosofia consisteva nel prendere il meglio dei ritrovati estetici della società da confluire nella propria estetica. Lo stile elitario e ricercato in ottica minimalista, composto di originalità, gusto, inventiva, prediligeva nell’abbigliamento le tonalità di grigio, a discapito dei colori. Negli ambienti mod si ascoltava musica non commerciale, quali jazz, r&b, soul, ska jamaicano e si viaggiava in scooter Vespa vestendo il famoso parka per proteggersi dalle intemperie. L’identità “fighetta” mod si esplicava anche nello  scontro frontale contro i “troppo rozzi” rockers. Verso il 1965, “gli unici rimasti a portare avanti la bandiera dello stile mod era una nuova generazione di giovani che nell’underground delle periferie delle città inglesi si costruirono in gangs di quartiere, più violente dei loro predecessori, il loro look era molto più spartano dei mods originali e molto più casual”, in questa nuova realtà gruppi come Who, Small Faces, Action (futuri Mighty Baby),  esternarono la turbolenza generazionale del primo periodo, per mezzo delle loro sfuriare rock. Una sorta di cassa armonica del disagio individuale.

who 1 who cover 2 who bandiera 6Correva l’anno 1965 e The Who, Roger Daltrey (voce), Pete Townshend (chitarra elettrica, voce), John Entwistle (basso, voce), Keith Moon (batteria) erano quattro giovani talentuosi musicisti scapestrati, pur non essendo dei virtuosi erano dotati di grande genialità e spregiudicata inventiva, pubblicarono a dicembre il loro primo album “My Generation”, l’inno della nuova eversione giovanile, uscito solo dopo il secondo lp dei Rolling Stones di quell’anno, “Out Of Our Heads”, album in pieno blues ancora molto legato al passato. La nuova proposta di Daltrey e company invece fu come un fulmine a ciel sereno, presentava una sonorità diversa, tutta nuova , molto più aperta e dirompente rispetto ai rocciosi e chiusi marchingegni delle “pietre rotolanti”, grazie alle schitarrate guidate dalla furia distruttiva del suo strumentista leader, l’allora ventenne mister Pete Townshend. Forse solo gli Yardbirds avrebbero potuto bruciare sul tempo  gli Who, in “Having A Rave Up” e poi neanche troppo per l’impronta spiccatamente blues in direzione psych del gruppo di Clapton che fremeva per alzare il potenziometro del suo ampli Vox, gli Small Faces di Steve Mariott e Ronnie Lane, invece  tramutarono la rivolta rollingstoniana in ferocia, con suoni più aperti e metallici quasi contemporaneamente ai nostri. who sforbici 7

The Who-My Generation

Lo stile “barbaro” ed esplosivo del “blasting kid” Townshend invece, nato per una reazione al mersybeat timido e controllato dei Beatles ritenuto troppo inappropriato a rappresentare le nuove tensioni esistenziali dei giovani londinesi era tutt’altra cosa, molto più fragoroso e detonante. La scena doveva specchiare la violenza e il senso di rivolta espresso in strada,Townshend fu il primo a divincolarsi platealmente con le sue famose rotazioni del braccio e i salti a sforbiciate, nonché a condurre il concerto all’happening distruttivo di strumenti  e arsenale. La sua chitarra saltuariamente ha scaricato gragnuole di note soliste, ma col feedback spianato non ha mancato di urlare. E Keith Moon, il folle martello picchiatore sfonda tamburi, che inneggiava alla degenerazione.  Insomma, The Who, ne fecero di strada da quel 1964 con “I Can’t Explain”; attuarono la prima vera grande rivoluzione del rock, reinventando il suono, quello già iniziato e lasciato a metà dai Rolling Stones e Yardbirds. who townshend brucia

Il disco è noto sopratutto per l’inno epocale da cui prende il nome, già apparso come singolo un mese prima, ma gode buona compagnia fra le undici tracce che lo compongono. Il debutto dei Who è opera che non si esime dal compito di pagar pegno alla lezione del  rock’n’roll di Eddie Cochran e Gene Vincent, al rhythm & blues di James Brown e al blues di Bo Diddley, ma in alcune sue parti è un’opera rivoluzionaria, contiene la prima manifestazione esplicita di chitarra distorta della storia, almeno prima, di così potenti non ne ricordo altre. I’album contiene tre cover, prendiamo qui in esame la versione inglese che presenta “I’m A Man” di Bo Diddley, quella americana è sostituita da “Istant Party”, ottimo trascinante inno mod-psych; erano gli anni del tributo ai predecessori, ma l’approccio ne riformula l’essenza. Ricordiamo che Pete Townshend, oltre ad essere quel grande chitarrista sopra citato, è il compositore di quasi tutti i pezzi della cospicua produzione Who, la sua anima. who 3 jpg

“My Generation” inizia col vibrato di “Out in The Street” che mette subito in chiaro le nuove premesse sonore, si avvertono i primi maltrattamenti sul pick-up della Emile Grimshaw SS De Luxe. “I Don’t Mind” è un lentone blues di James Brown con tanto di pianoforte, orecchiato l’anno dopo anche da Zappa. il magnifico arpeggio “cromato” di “The Good’s Gone” introduce la batteria pesante di Keith Moon, verso un andante rollingstoniano compatto e incalzante. Si passa a “La-La-La Lies”, un drumming e piano di nuova portata . “Much Too Much”, un canto fermo e aperto, messo  in evidenza dalle pennate di Townshend e dai colpi di Moon su una ballata pop di stampo dylaniano. Chiude la prima facciata uno dei pezzi base di tutta la storia della musica rock; ladies and gentlemen, a voi il mega capolavoro, la title track “My Generation”, il manifesto mod e di tutto il rock moderno. Una dichiarazione di guerra della cultura giovanile sixties che lasciò strascichi per tutto il periodo, fino ad approdare molto più avanti alla rivolta punk, un pezzo che ispirò una miriade di gruppi e che a distanza di quasi 50 anni mostra ancora tutta la sua forza dirompente, signori questo è un pezzo universale, sicuramente fra i primi 10 dellla storia del rock, una rivendicazione  del pensiero generazionale sulla società e il potere degli adulti applicabile a tutte le epoche. Il tartagliare anfetaminico di Roger Daltrey batte il tempo e il basso cazzuto di John Entwistle sulla ritmica forsennata di Keith Moon, ostentano intraprendenza e carica, per dilagare in pochi attimi tutti assieme nell’abbandono caotico ed esplosivo dei fendenti e delle bordate chitarristiche di Pete Townshend.

who 4 sforbici

The Who-The Ox

Con “The Kids Are Alright” si torna ad osannare il merseybeat pop perbenista beatlesiano, ma con brevi e potenti impronte non proprio tipiche al genere. “Please, Please, Please” è l’altro lentone blues di James Brown che permette a Townshend di esprimere alcune poche note soliste della sua carriera. “It’s Not True” segue ancora la linea andante del mersey-country-rock, Townshend non ne era particolarmente entusiasta, ma rimane un pezzo ben strutturato con venature tipicamente Who. “I’m A Man” è il classico capolavoro blues di Bo Diddley interpretato magnificamente nella versione tuonante e psych di Daltrey & co. “A Legal Matter” dal gusto roots dato dal piano e a tratti dalla chitarra elettrica va via spedita, è Moon in evidenza che traina la compagine. Chiude “The Ox” nel modo più consono ai quattro inspiritati mod-performers, una jam strumentale di quasi 4 minuti ancora tabù per l’epoca, qui l’effettistica hard segna i suoi primi passi. L’importanza strategica di questo pezzo è immensa, praticamente gli Who prescrivono in modo inequivocabile le nuove istruzioni di come si deve e dovrà suonare in futuro, una guida assunta in Inghilterra e in America, basti pensare che un pezzo storico come “Stroll On” schitarrato da nientemeno che Jeff Beck e Jimmy Page negli Yardbirds e immortalato nei fotogrammi del magistrale psych-thriller movie “Blow Up” di Michelangelo Antonioni, sarà nel 1966 in ritardo di qualche mese, ma sufficiente per distinguerne l’importanza del primo. E che ne pensate del riff di “How Many More Times ” di “Led Zeppelin I” del 1969? Non vi pare che Page abbia orecchiato quello dell’antenato “The Ox”?

“My Generation” e sopratutto la title track assieme a “The Ox”, fa parte per diritto di quella serie di lavori cosiddetti “seminali”, nati per stupire nell’immediato, ma col DNA che  si rivelò fondamentale allo sviluppo della musica rock. The Who piantarono con questo album le basi, o molto probabilmente il primo vero mattone (o se volete colonna) del rock moderno. Fondamentale!

rano 2valutaz. ***** (con lode) Pierdomenico Scardovi


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