“Un popolo si misura dalla qualità della sua musica.
Dall’amore dei suoi figli verso la propria terra,
dal senso di appartenenza e di fratellanza,
nei sentimenti veicolati dalla propria arte.
Tutto ciò è ripagato da un miracolo,
questo miracolo si chiama Irlanda.”
ranofornace
Planxty-The Blacksmith
Scusate, ma l’oggettività non alberga nella mia ardua mente.
Chiunque abbia letto le mie recensioni, si sarà accorto certamente che sono tutte accompagnate e sorrette da una grande passione, un fattore costante nell’affrontare la “questione musicale”, che non disdegno affatto servirmi dell’azzardo nei giudizi e nelle formulazioni teoriche. Solo così, conscio delle mie convinzioni, ritengo andare avanti, ascoltare e parlare delle cose che mi piacciono, a modo mio.
Per raccontare questo prodigio la scelta dell’album non è stata facile, fra i tanti capolavori dati alla luce dal popolo più musicista e musicale del mondo, (ecco il mio primo azzardo), c’è chi ha qualcosa da obbiettare? Certamente… Ma alle opinioni non concordi di molti di voi, rispondo con una sola affermazione: < L’Irlanda detiene il primato al mondo della maggior densità di musicisti professionisti e dilettanti, rispetto alla sua popolazione>. Questo non è un dato statistico reperito su Wikipedia, forse vi farà ridere, ma la mia asserzione non è gratuita, nasce da un’impressione che ho sempre avuto su questo popolo (che ammiro troppo), quindi nessun dato scientifico, ma è frutto di una statistica “fai da te” che ho eseguito sul campo. Ho notato per esempio, in diverse città irlandesi più o meno grandi, il numero rilevante di gente che cantava e suonava contemporaneamente sulla stessa strada o nel breve raggio fuori e dentro i pub, la quantità non trascurabile di locandine e manifesti di concerti e concertini affissi sui muri e non per ultimo la moltitudine di passanti con l’ipod alle orecchie. Incredibile! Questa è la terra baciata dalle Muse dirette da Apollo, non ce n’è per nessuno.
La musica celtica in alcune sue sfaccettature, è la forma più sublime di folk cantato in inglese o nell’antica lingua gaelica. Parlare di musica celtica per noi occidentali, vuol dire se non di Jigs o Reels, di musiche piacevolissime, dovuto specialmente alla melodie e alle costruzioni armoniche, che in terra d’Irlanda, culla della civiltà celtica (anche se non l’unica), ha avuto la sua massima espressione. Qui sono state fondate le basi musicali, gli stilemi armonici, melodici e i ritmi provenienti dal mondo nordico-normanno, con influssi orientali antichissimi. Mille anni or sono, soffiava un vento mistico fra le brughiere e le pianure d’Irlanda, dentro le canne e negli ossi cavi di qualche pastore, ad intonare i primi idilli, una lenta ricerca che portò alle diverse forme della musica popolare apparse prevalentemente tra il ‘600 e il ‘700, tramandate in buona parte oralmente o trascritte senza continuità fino ai giorni nostri. Tre aggettivi per definirla, “dolce, malinconica, festosa”. L’album idoneo a rappresentare quella che per me è l’identità irlandese, dopo tanti anni di svariati ascolti fra scelte e rimpianti, combattuto dall’attrazione per certi pezzi sparsi nei vari album, è rimasto ancora lo stesso di allora, un album colto dall’istinto ruspante, i cui brani sono privi della voce femminile e della lingua gaelica, musiche a cui manca la sofisticata evanescenza degli strumenti elettrici, ma questo è anche un pregio. Due gravissimi peccati dunque, forse inammissibili in ambito di musica folk celtica. Chi conosce il genere in questione sa cosa intendo dire, basti pensare a voci come quelle di Maire Brennan dei Clannad, di Mary Black dei De Dannan e Karen Matheson dei Capercaillie o Kathy Jordan dei Dervish, in grado di arrivare con la chiave della musicalissima lingua gaelica, all’essenza dello spirito e richiamare l’attenzione degli Dei annidati nelle profondità dell’animo umano. Un doppio peccato che poteva essere espiato solamente da una prova musicale superba di due pezzi da novanta come Christy Moore e Andy Irvine targati Irlanda, questa prova si chiama Planxty, quindi: Christy Moore (voce, chitarra, bodhran), Andy Irvine (voce, mandolino, bouzouki, armonica), Liam O’Flynn (uilleann pipes, tin whistle), Donal Lunny (bouzuki, chitarra). E allora via con gli “azzardi”.
Planxty-Arthur McBride
Planxty-Follow Me Up To Carlow
Planxty è stato il più grande e importante gruppo irlandese. Planxty è il nome del loro primo album, lo splendido lavoro del gruppo omonimo di Dublino/Kildare, pubblicato nel 1973, il capolavoro di irish folk più bello in assoluto, raccoglie una serie di brani incantevoli, risolti in maniera essenziale e diretta, ma al tempo stesso brillante e pertinente. Planxty è l’identità, il paradigma, il luogo dove tutto confluisce: “storia , cuore, futuro”, testimonianza musicale di un popolo, opera testamentale più autentica che Eriu, “L’Isola di Smeraldo”, abbia mai dato alla luce. Come mai tutto questo, riassunto in un solo disco? È una mia sensazione, semplice! (altro azzardo? Forse). Esistono una miriade di pezzi folk celtici irlandesi bellissimi, sparsi qua e là nei vari album dei tanti gruppi che formano l’anima, lo spirito d’Irlanda e qui mi inchino, ma ripeto, Planxty assolve il compito di presentare la tradizione in una nuova veste, la novità furono appunto gli arrangiamenti dei brani, che influenzarono tutta la scena acustica europea. Brani scelti accuratamente per la loro bellezza, per la comune indole alla convivenza, brani che scorrono fluidi e contigui, a tratti interpretati con rustica schiettezza, (percezione anche olfattiva), sciolti nelle melodie in un rapporto matematicamente mistico con le sequenze armoniche; naturalismo e spiritualità nell’intimità sentimentale e sensitiva, rivolta alla “Madre Terra”. Termino con gli “azzardi” dicendo che “c’è più verità nella musica che in ogni parola detta o scritta”. I testi sono tratti da leggende, storie quotidiane di poca rilevanza, immersi nel contesto rurale e selvaggio, nella semplicità del vivere, sono pretesti provenienti dalla tradizione dei bardi cantori, parole che risentono decisamente l’influsso degli 800 anni di egemonia britannica in terra d’Irlanda, come ho già accennato sono brani tutti cantati in inglese.
Poche saranno le parole a descrivere questo irish capolavoro, che necessita assolutamente del vostro ascolto. Dodici tracce, composte da 8 ballate cantate, tra jigs e reels e 4 pezzi strumentali, di cui 9 sono arrangiamenti di pezzi tradizionali, solo 3 composizioni sono del gruppo. “Raggle Taggle Gypsy – Tabhair Dom Do Lamh”, la prima ballata del 1720 dal ritmo incalzante di 6/8 che a metà rallenta in 4/4 e muta fluidamente. “Arthur McBride”, magnifica ballata cantata da Andy Irvine, accompagnata da un’armonizzazione al mandolino molto efficace. La delicata e strumentale “Planxty Irwin”, al tin whistle e uilleann pipes. “Sweet Thames Flow Softly”, la lenta e malinconica ballata di Ewan MacColl, cantata da Christy Moore. “Junior Crehan’s Favourite/Comey is Coming”, giga strumentale battuta al bodhran. “The West Coast of Clare”, un capolavoro d’anima composta e cantata da Andy Irvine, è l’apice del disco, se non tecnico, sicuramente spirituale. “The Jolly Beggar/Reel”, altra fresca e baldanzosa ballata folcloristica cantata da Christy Moore. “Only Our Rivers”, di Michael MacConnell, ancora cantata e accompagnata alla chitarra acustica di Chisty Moore, è una melodia melanconica e sognante. “Si Bheag, Si Mhor”, altro pezzo tradizionale strumentale per uilleann pipes e chitarra acustica. “Follow Me Up To Carlow”, la stupenda ballata in stile normanno che ci porta alle soglie del Medioevo. “Merrily Kissed the Quaker”, è una strumentale danza reel, dove soffia spavaldo il mantice a braccio della uilleann pipes di Liam O’Flynn. Chiude il disco l’eccezionale ballata “The Blacksmith”, forgiata dal “martello” di un antico cantore scozzese e fatta propria dai musicisti irlandesi impone attenzione, ed ora:
“Signore e signori silenzio assoluto,
parla l’anima…”
Planxty-The West Coast of Clare
valutaz. ***** Pierdomenico Scardovi
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