Ah, si…
La più educata pop-derivati band della storia”
ranofornace
A distanza di 43 anni dal termine della loro straordinaria e irripetibile carriera, non è il caso di citare gli indimenticabili e innumerevoli successi planetari dei Beatles. Ricordiamo solo che nella loro sterminata produzione discografica, figurano i 13 album ufficiali registrati in studio, tra cui uno pubblicato l’anno prima negli US. Questi album racchiudono tutti i successi che ancora oggi sono intonati, dalle ugole attempate delle generazioni sixties.
The Beatles-Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band
Da dove parte e da cosa è caratterizzata la sempiterna controversia storica sugli illustri “scarafaggi”? Oggettivare i fatti é sempre stato il sogno degli storici fin da tempi memorabili ed è appunto questo fattore che nel nostro caso, rende la questione Beatles, ancor oggi argomento di accesi dibattiti. E cioè ci si chiede se ai “ragazzi di Liverpool” gli si può attribuire l’esclusiva paternità del filone pop-rock melodico che dai primi anni ’60, fino alla fine degli anni ’80, ha contribuito assieme ad altri generi, a colmare lo spazio musicale mondiale. Disputa che nasce soprattutto dall’esigenza di chiarire se lo stile musicale principale che si andava delineando negli anni ’60 in Inghilterra dal gruppo di traino, può essere visualizzato come una linea maestra da cui si diramano (in contemporanea) esperienze creative espresse da gruppi “minori”. L’arduo compito è anche oggetto di effervescenti dibattiti fra appassionati musicofili naif, come il sottoscritto.
La prima verità riconosciuta dai più, è che ai Beatles, viene relegato questo ruolo di leadership, come imprinting, se non altro che per il loro travolgente successo planetario, sugli sconosciuti e numerosi gruppi dell’epoca (1966-67), interpreti di quel pop psichedelico tanto apprezzato in questi ultimi anni, come Idle Race, Zombies, Kaleidoscope, Elmer Gantry’s Velvet Opera, Art, Eyes of Blue, The Goods, Blossom Toes, operanti nell’underground urbano, ma anche più in vista come Who, Hollies, Easybeats, Status Quo, più propriamente pop-rock. Tutti sembra, attingano dalla stessa fonte, dai più “anziani” e “illuminati” baronetti. Basta pensare che tutta la produzione che parte da “Please Please Me” fino a “Help!” e cioè i primi cinque LPs che vanno dal 1963 al 1965, tracciano la linea del dilagante filone merseybeat-folk-pop, ovvero determineranno l’impostazione del sistema armonico-melodico e le tipologie corali, a cui quasi tutti non sfuggiranno. E dalla metà del ’65 con “Rubber Soul” fino al 1967, con i quattro magistrali LPs, che comprendono “Sgt. Pepper’s”, quello che viene definito all’unanimità uno dei testi base della psichedelica anglosassone (assieme a “The Piper at the Gates of Dawn” dei Pink Floyd qui e “Are You Experienced” di Jimi Hendrix pubblicato a Londra), che definisce lo stilema compositivo applicabile ad ogni supporto musicale di base, ovvero la varietà di accorgimenti tecnici e strutture compositive, quali il collage, l’autoreverse e il concretismo musicale che consiste nel registrare su nastro magnetico suoni e rumori ambientali da usare come materiale creativo.
In pratica, uno degli album più influenti dell’intera storia della musica rock del ‘900 (e non solo), assieme a “Freak Out!” di Frank Zappa e alla “banana” di “Velvet Underground & Nico”, Sgt. Pepper’s per la sua natura intellettuale è un codice multi leggibile, figlia di pratiche lisergiche, somministrazioni acide molto diffuse nella “swinging London” di metà ’60, protesa ad ogni tipo di esperienza creativa, sempre giustificata. Tutte queste innovazioni servirono a superare i limiti delle convenzioni estetiche, riscrivendo come ovvio, nuove convenzioni stilistiche. Allora nel 1967, i quattro mesi che lo anticipano da “We Are So Clean” dei Blossom Toes, sono forse un destino fatale, ma inevitabile a dedurre che il capolavoro del gruppo di Brian Godding è figlio “illegittimo” del “Sergente di pepe”? La seconda verità teorizzata dagli irriducibili anti-Beatles invece, si basa sul riconoscimento, alla luce della ricerca storica, della dignità di tantissimi gruppi che costellavano il territorio d’Albione fino ad echeggiare oltre l’Atlantico con la “british invasion”, rivendicare la propria autonoma creativa, partendo dalle proprie attitudini e visioni innovative. Del resto è appurato che i Beatles sono stati anch’essi debitori dei più anziani Beach Boys, la loro ossessione verso il surf-pop corale, viene smaltita con poca riconoscenza. Riprenderanno il loro jingle-jangle elaborato dai Byrds padri del folk-rock, che dal 1965 in poi si avvertirà l’indubbia contaminazione.
I piccoli gruppi, meteore della metà degli anni ’60, presunti epigoni, quelli da uno o due LPs, sono stati capaci di produrre invece, musica di sorprendente originalità e di altissimo livello, dischi come “Birthday Party” degli Idle Race, o “Tangerine Dream” dei Kaleidoscope che non hanno nulla da invidiare ad un “White Album” o un “Abbey Road”, fanno parte incontestabile del patrimonio storico della psichedelia britannica e forse anche tecnicamente superiori, assieme a “Odessey and Oracle” degli Zombies o “In Fields of Ardath” degli Eyes of Blue, oggi vengono riconosciuti meriti di autonomia creativa. Si è appurato che le sequenze armoniche e le melodie supportate da cori, allora molto in voga, erano patrimonio alla portata di tutti, una sorta di linguaggio interscambiabile .
I cosiddetti gruppi minori, contavano fra le loro file fior fiore di musicisti, gente con qualità tecniche straordinarie (e si sente). Ma come si sa, non basta l’onestà, la capacità, per sfondare, il successo è un’aurea misteriosa, guidata da forze non del tutto controllabili, che spesso ti si accolla anche indipendentemente dai valori artistici. Ma per noi ciò che conta è poter, al di là del vaglio della storia, degustare la grande musica, saturare le nostre orecchie e la nostra mente con suoni alternativi ai straconosciuti tormentoni storici.
Pierdomenico Scardovi
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